PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 10_12_2014

gas works park
Seattle, Gas Works Park

Caserma Rossani resistenze vegetali e convitati di pietra _ Paesaggi riciclati l’esempio di Seattle

Fra i grattacieli di Seattle, negli Stati Uniti, c’è un parco urbano, grande otto ettari. Proprio quanto l’ex Caserma Rossani. Prima di diventare un parco urbano, era un’area abbandonata da 13 anni, proprio come la Rossani. Ed era anche inquinata, perché lì prima c’era un gazometro. All’inizio i cittadini che avevano vissuto all’ombra dei serbatoi velenosi volevano dimenticare, volevano che gli impianti arrugginiti fossero rasi al suolo, poi una bella colata di cemento e la costruzione di impianti sportivi e centri commerciali. Fu un architetto del paesaggio, Richard Haag, incaricato di esaminare il terreno, ad avere l’idea di farne un parco urbano e a coltivare questa idea con una campagna educativa durata due anni. Certo, il fatto che il proprietario dell’area avrebbe risparmiato 100mila dollari era un buon argomento, ma il vero propulsore del progetto fu un ufficio di ricerca aperto al pubblico e la convinzione che si potesse riciclare il paesaggio e che la natura potesse rigenerarsi da sé con un programma a basso costo e a bassa tecnologia. Un’associazione di cittadini, costituita nel 1995, cioè vent’anni dopo la realizzazione del Gas Works Park, ne ha impedito la privatizzazione e ha ottenuto dallo Stato di Washington la qualifica di «Historic Landmark Preservation», cioè un vincolo storico-paesaggistico.

Abbiamo raccontato questa storia perché il parco di Seattle ha molte analogie con la Rossani: l’abbandono, i tentativi di speculazione e di privatizzazione, la progettazione partecipata e la mobilitazione dei cittadini… Ma anche il ruolo che gioca la memoria dei luoghi nel progetto di rigenerazione e un nuovo approccio al tema del verde urbano: non il giardino con piante esotiche e ornamentali ma – secondo la definizione di Gilles Clément – il «terzo paesaggio» della natura che si riappropria degli spazi consumati dalla città. «Nuove nature urbane, strategiche urbane naturalità si dispongono attorno a noi per essere considerate e interpretate pur capaci da sole di evolvere e saldarsi pian piano ad altre naturalità “abbandonate”» afferma Michela De Poli, autrice con Guido Incerti del recente «Atlante dei paesaggi riciclati» (Skira ed., pp. 272, euro 33).

De Poli, che insegna Architettura del paesaggio allo Iuav di Venezia, richiama l’attenzione sulla ricchezza di senso che esprime un luogo urbano abbandonato, giacché «in uno spazio, in un’area, in un edificio una volta dismesso e apparentemente ignorato si attivano nuovi accordi con il paesaggio circostante, nuove relazioni, nuove qualità così impregnanti da diventare dominanti e potenzialmente prevalenti rispetto al suo recente passato». De Poli nutre certo meno dubbi sul che fare rispetto a chi, come il paesaggista tedesco Rolf Kuhn, si chiede: «Rimuovere tutte le tracce del passato può essere un modo di “rimediare” alla distruzione della natura? È questo il modo di fare ammenda? Oppure dovremmo semplicemente lasciare che la natura recuperi da sé senza ulteriori interventi o lavori di riqualificazione?»

C’è da augurarsi che queste idee trovino cittadinanza anche nel laboratorio di partecipazione avviato sulla progettazione della ex Caserma Rossani. Dopo la riunione inaugurale, la settimana scorsa, per oggi pomeriggio dalle 17 alle 20 sono convocati nella Officina degli esordi in via Crispi i gruppi di lavoro, anzi gli atelier proposti dai facilitatori. I temi sono: «verde e resistenze vegetali», «gioco e didattiche d’uso», «gestione creativa degli spazi». Più l’atelier «Se io fossi Fuksas», titolo che ha fatto sorridere qualcuno e che in effetti suona un po’ come la versione postmoderna del «piccolo muratore». Ma in ogni caso certifica la presenza di un convitato di pietra: Massimiliano Fuksas, appunto, con il suo progetto preliminare per il primo stralcio del parco Rossani. L’assessore all’urbanistica Carla Tedesco, nella prima riunione, ha spiegato che è intenzione dell’amministrazione comunale ridurre all’essenziale la proposta di Fuksas, e cioè a luoghi e funzioni su cui dovrà svilupparsi il percorso partecipativo. Le funzioni ipotizzate dall’archistar romana sono: campo di basket, teatro all’aperto, skate park, campo di bocce, area wi-fi, area giochi bimbi. Fatta la somma dei luoghi relativi non resterebbe granché al verde, senz’altro qualche palma caraibica con punteruolo rosso incorporato, non certo il bosco urbano da terzo paesaggio.

«Comprendere cosa può perdurare – sostiene Michela De Poli – rappresenta il nostro contributo all’identificazione dei nuovi paesaggi. Decidere cosa permane, di un luogo modificato da una defunzionalizzazione e assenza di gestione antropica, significa decidere come interpretiamo la trasformazione di un paesaggio». Anche di questo si potrebbe discutere oggi, per evitare che il laboratorio di partecipazione si riduca ad una litigiosa riunione di condominio.

NICOLA SIGNORILE

(pubblicato oggi su La Gazzetta del Mezzogiorno)

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