Come ogni principio di anno che si rispetti, il primo post del 2018 annuncia un proposito – che è pure buono – . Anzi, è esso stesso un proposito: vorremmo che fosse il primo di tanti racconti di viaggi, o meglio esplorazioni. La scelta del termine non è indifferente, vista la maniera del tutto inconsapevole e legata a soli fini consumistici con cui la maggior parte delle persone viaggia. Si potrebbe pensare “ci vuole un’educazione al viaggio!”, ma la verità è che viaggiare rispecchia abbastanza fedelmente quello che siamo, il modo in cui viviamo, il nostro impatto sulla Terra.
Non intendo scrivere lungamente di quale credo sia il modo migliore di conoscere il mondo attorno a noi, ci sarà occasione di spiegare il mio punto di vista un po’ per volta, in ogni post. Ci tengo però che sia chiara la mia posizione sulle azioni umane: qualsiasi cosa l’uomo faccia, che sia fare la spesa, andare a lavoro, crescere i figli o, appunto, viaggiare, ha un riflesso sull’ambiente e sulle altre persone – quella che scientificamente viene definita impronta ecologica – . Nel XXI secolo, essendo possibile prenotare e partire dall’oggi al domani per l’altro capo del Mondo arrivandoci in una manciata di ore, l’impatto dei viaggi è aumentato in maniera vertiginosa, a causa delle enormi emissioni di gas serra prodotte dagli aerei. Il turismo, inoltre, ha fatto proliferare in luoghi lontani e vicini strutture ricettive che consumano ingenti risorse e producono grosse quantità di rifiuti e CO2, oltre a rovinare i territori e a snaturarli.
Per questo preferisco di gran lunga parlare di esplorazioni, che suggeriscono più efficacemente l’unico scopo che i viaggi dovrebbero avere. E cioè conoscere luoghi, paesaggi, popoli e culture.

La prima esplorazione di cui vorrei raccontare è quella in Daunia, decisa il 30 dicembre sera per la mattina dopo. Dopo una breve ricerca su internet circa luoghi che rientrassero nel raggio di 1-2 ore di auto da Bari, ho trovato qualche scarso cenno sulla Daunia, una terra abitata da importanti popolazioni sin da prima del VII secolo a.C.
Chissà, allora, se questa mini guida potrà essere di supporto a chi volesse esplorare la Puglia interna settentrionale, meno rinomata del Gargano ma non per questo meno interessante.
Partendo quindi da Bari in mattinata abbiamo preso la SS16 verso nord, per raggiungere Rocchetta S. Antonio o Sant’Agata di Puglia. La ricerca di un distributore di gpl, resa più complicata dal fatto che fosse il 31 dicembre, ci ha fatto uscire dalla statale e raggiungere Canosa, una bella scoperta.
Per mancanza di tempo la nostra è stata una toccata e fuga: lasciata l’auto in piazza della Repubblica, abbiamo passeggiato a piedi fino alla cattedrale di S. Sabino, con una sosta caffè + rosa di Canosa (detta anche sfogliatella) in un bar poco appariscente ma confortevole (uno dei nostri leit-motiv è cercare i bar più autentici in ogni città che visitiamo). Canosa è una città impregnata di storia e le tracce dei Romani sono ovunque. Per chi avesse tempo ci sono moltissimi monumenti e siti archeologici da visitare, altrimenti andrà benissimo una breve passeggiata nel centro storico dove ammirare i particolari isolati stretti e lunghi, il mausoleo di Beomondo d’Altavilla addossato alla cattedrale e la villa comunale con il suo lapidarium che speriamo venga curato e tenuto in maniera più degna.
Lasciata Canosa, mentre i ruderi del castello che dall’alto della collina dei Santi Quaranta Martiri ci osservavano austeri, abbiamo ripreso la strada verso nord.
Come in molte altre zone d’Italia il percorso per raggiungere la città di destinazione è uno degli aspetti più belli dell’esplorazione, e mentre ci si avventura tra strade a una corsia, cigli senza barriere e curve mozzafiato, i paesaggi che scorrono al di fuori del finestrino inebriano gli occhi.
Siamo arrivati al tramonto, salendo circa 800 m di tornanti, a Sant’Agata di Puglia. Borgo arroccato su un’altura del subappennino dauno, si lascia scoprire rigorosamente a piedi, tra le terrazze rivolte verso il paesaggio circostante, le minuscole stradine e le chiese.
Se farete attenzione potrete notare come la stratificazione del tessuto urbano sia ancora leggibile: a partire dalle mura del castello gli edifici sono stati costruiti in cinte sempre più larghe, scendendo lungo le pendici del rilievo. Così, spesso, le case sono incastonate in blocchi murari difensivi o sono esse stesse delle fortezze, aperte verso le strade interne e serrate verso l’esterno.
Ci si può affacciare in vari punti per guardare i tetti a tegole della città, intervallati dai campanili e dalle torri, come picchi di un tracciato, per poi perdersi nel verde delle colline e delle campagne, fino all’orizzonte fumoso.
Il castello, purtroppo, ancora necessita di interventi di restauro ma è attualmente visitabile per la quasi totalità degli ambienti. Un importantissimo bene architettonico, di grande valore storico per via del suo legame con Federico II, è diventato bene pubblico solo nel 2000. Ci auguriamo che riceva le cure che merita, affinché possa rivivere di nuovo ed essere vissuto dai suoi cittadini e da chi arriva a visitarlo.
Ci siamo rimessi in auto, sotto una splendida luna piena che illuminava la strada deserta come un faro, con un arrivederci verso una terra pregna di storia e di luoghi autentici, molto ma molto lontani dalle attrazioni turistiche posticce che spesso vengono propinate.
E alla prossima incursione assaggeremo cibi e vini di questa sorprendente Daunia!
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