Risposta a “A che serve Cesare Brandi?”

Oronzo Brunetti
Il prof. Oronzo Brunetti

Ha avuto una eco nazionale l’ultimo articolo pubblicato su questo blog dal titolo emblematico, tanto quanto allarmante, A che serve Cesare Brandi?. Un articolo che ha avuto il merito, se non altro, di rianimare il confronto dialettico sui temi delle trasformazioni urbane, la cui importanza e le cui ripercussioni in termini di vivibilità, salubrità, economia, sicurezza e sostenibilità vengono spesso ignorate da una classe politica ed imprenditoriale troppo concentrata a difendere interessi particolari o incapace di una visione consapevole.
Riceviamo e prontamente ripubblichiamo la lettera giunta in redazione a firma del prof. Oronzo Brunetti, professore associato di Storia dell’Architettura presso il Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università di Parma, studioso qualificato e autore del volume “Martina Franca nel Settecento. Strutture architettoniche e immagine urbana” (2012).

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A che serve Cesare Brandi?

L'edificio industriale di via Guglielmi
L’edificio industriale di via Guglielmi in luogo del quale saranno edificati anonimi edifici residenziali (fonte Google Earth)

A che serve Cesare Brandi?

C’è una città del sud Italia che in questi giorni assurge a simbolo e paradigma della condizione in cui versano l’architettura, l’urbanistica, il paesaggio dell’Italia di questi nostri sciagurati giorni.
Questa città è la città natale di chi scrive, è Martina Franca.

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PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 27_09_2017

Chi ristruttura la cultura ne fa di tutti i colori _ Dall’auditorium a S. Ferdinando

Rosse. Erano azzurre ed ora sono rosse. Le nuove poltrone dell’auditorium «Nino Rota» – dopo un quarto di secolo trascorso nella lunghissima chiusura e con interminabili lavori edili – sono la rappresentazione più efficace della sciatteria con cui è stata manomessa una pregevole opera di architettura. Potremmo puntare l’indice sulla pedana meccanica troppo stretta, sulla collocazione del coro, oppure sul controsoffitto del foyer, che fece inorridire durante un sopralluogo, nel 2013, l’allora assessore regionale ai Beni culturali Angela Barbanente. Ma finiremmo per litigare con i pragmatisti che invece hanno occhi – anzi orecchie – soltanto per l’acustica della sala, che pare sia migliorata sostituendo la moquette con un parquet. Ad ogni buon conto il colore rosso – per quanto ci è dato sapere –  non aggiunge un solo decibel (le frequenze superano i 3729 Hz). Dunque perché cambiare colore alla tappezzeria? E chi l’ha deciso? Sono domande che resteranno forse senza risposta perché aprono un fronte di discussione che si preferisce evitare: quello dell’architettura e della sua tutela.
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PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 27_07_2016

edificio apuliafilmcommission-14
(foto © Alberto Muciaccia)

Grazie al cinema il Moderno ha il suo restauro _ Museo nel Palazzo del Mezzogiorno 

Non chiamatelo museo, ché fa tanto ragnatela. Si chiamerà Apulia Film House, in inglese perché suona più tecnologico e meno banale. Ma, dentro, sarà sempre un luogo di rappresentazione del sapere e della memoria con quattro saloni dedicati alle mostre, alle proiezioni, ai laboratori interattivi per i ragazzi. Insomma quello che fanno tutti i musei del mondo senza vergognarsi di chiamarsi «museo». Il nome esotico tuttavia è contagioso: quel che una volta era il viale Italo-orientale della Fiera del Levante ora diventa la Rambla, con evocazioni e cordoli-panchina alla moda barcellonese. E proprio all’inizio della Rambla sta per nascere l’Apulia Film House. Dove l’House, cioè la casa, è il padiglione che fu della Cassa per il Mezzogiorno, sottoposto ad un restauro oramai al termine: il fotografo Alberto Muciaccia ha già  documentato il nudo lavoro degli architetti, prima che arrivino gli «inquilini» con le loro masserizie.

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PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 23_09_2015

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Teatro Margherita, nuovo arsenico e vecchi merletti _ Nasce il «Polo contemporaneo»

«Non è meglio abbatterlo?». Ogni volta che si torna a parlare del teatro Margherita e del suo restauro c’è qualcuno che lancia la proposta della demolizione, magari con l’aria di aver avuto un’idea originale. In effetti il teatro galleggiate avrebbe dovuto scomparire già diverse volte, almeno fino a quando non è stato vincolato dallo Stato come bene culturale, esattamente il 9 gennaio 1981, data del decreto ministeriale. Una decisione che fece andare su tutte le furie Ludovico Quaroni, maturata proprio  mentre l’architetto romano lavorava al piano regolatore di Bari.

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