PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 30_01_2013

beato angelico santa trinita
Dettaglio della Pala di Santa Trinita di Beato Angelico

La bellezza in città: profumo e nitroglicerina

L’appuntamento è per stamattina, nella sala paesaggio dell’assessorato regionale all’Assetto del territorio. Seconda puntata (non ancora l’ultima:  ce ne saranno altre due) dell’inchiesta pubblica sul vincolo diffuso per Bari vecchia, il Murattiano, Libertà e Madonnella richiesto dalla Soprintendenza i Beni architettonici e del paesaggio.

Oggi debuttano gli esperti, tra i quali c’era – indicato dalla Regione – Giovanni Leoni, direttore del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, e per molti anni docente a Bari. Ma Leoni, oberato di impegni,  si è dimesso dall’incarico. È un’assenza «costosa», perché Leoni nel Politecnico pugliese ha condotto un’attività didattica centrata sul contemporaneo e dunque conosce perfettamente la complessità del centro otto-novecentesco di Bari.

Saranno invece della partita Amerigo Restucci, rettore dello Iuav di Venezia, lucano di origine ma barese, anzi «flacchista» per formazione liceale e Marco Romano, urbanista e docente di Estetica della città a Venezia e a Mendrisio.

Restucci, indicato  quale esperto  dal Comune, ha lasciato a Bari anche segni concreti, come progettista, nell’ultima fase di ricostruzione del teatro Petruzzelli, e nella prima fase del restauro dell’Albergo delle Nazioni. Dunque si muove a suo agio nel Novecento e in una città che ben conosce, evitando perciò di farsi irretire dalla retorica locale: ricordiamo il suo disincantato giudizio sulle presunte  (e in verità assai modeste) qualità architettoniche del Petruzzelli dell’ingegner Cicciomessere.

Marco Romano invece è stato indicato dai costruttori edili di Confindustria. E del tifo che lo accompagna nella sua attuale missione barese, sinceramente, non riusciamo a farci una ragione. Come è noto, l’estetologo è stato invitato dal Comune a tenere la lezione magistrale inaugurale delle celebrazioni del secondo centenario della fondazione del borgo murattiano. Coincidenza? Cosa abbia spinto il sindaco Emiliano ad innamorarsi di uno studioso di ideologia leghista e anche un po’ xenofobo (nella innocua declinazione del termine che si più dare ad un intellettuale), proprio non riusciamo a comprenderlo. Non ci pare che il sindaco possa condividere l’idea di trasformare Bari vecchia in un parco a tema  per i crocieristi. A Emiliano ricordiamo che è di Romano l’affermazione, già stigmatizzata da Salvatore Settis: «Perché esorcizzare la trasformazione di Venezia in una Disneyland, quando essa potrebbe segnare il passaggio ad un modo di vivere più creativo, più allegro, più festoso?». Speriamo davvero che il sindaco non condivida nemmeno l’entusiasmo nel consumare suolo e nel divorare la campagna disseminandola di villette e capannoni con cui Romano afferma: «Perché non dobbiamo accettare lo sprawl territoriale come un aspetto della creatività, della voglia di autocostruzione?».

È evidente che tali disinvolte opinioni non sono in sintonia con la cultura di governo del territorio che perseguono sia il Comune di Bari (con il Dpp) che  la Regione Puglia (con il piano paesaggistico). Azzardiamo allora l’ipotesi che tanto i costruttori quanto il sindaco si siano lasciati ammaliare dalle invocazioni di Romano alla bellezza. Appelli che non possono non fare consenso. Ma la «bellezza» è una sostanza evanescente come il profumo e pericolosa come la nitroglicerina.

Romano concepisce la bellezza come prodotto della libertà nell’uso privato della città. E pertanto, come ha scritto ieri sulla Gazzetta, «ogni vincolo edilizio generico nell’ambito del piano murattiano o nei quartieri contermini (…) – sui materiali o sui colori –  costituisce un arbitrario attentato alla libertà».

Egli cita il solito Lorenzetti dell’affresco del Buongoverno, a Siena, ma al caso nostro tornerebbe più utile di quella fredda allegoria il caldo realismo del Beato Angelico della Pala di Santa Trinita dov’è raffigurata una città densa, con gli edifici difformi e addossati gli uni agli altri.  Una preveggenza del «tumulto» perseguito da Le Corbusier.

Alla bellezza come iniqua libertà del proprietario, chi amministra il potere pubblico dovrebbe preferire invece quella bellezza che scaturisce dalla giustizia sociale e dalla difesa dei beni comuni. Una bellezza in cui non c’è posto né per il degrado  dell’infisso incongruo sull’edifcio fatiscente del quartiere Libertà né per il confino del Cara che rigurgita immigrati nella «bella» piazza Umberto.  E solo allora ce ne accorgiamo.

NICOLA SIGNORILE

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