Alberto Magnaghi sul Piano Paesaggistico Territoriale della Puglia

Riportiamo un’intervista pubblicata su Repubblica.it ad Alberto Magnaghi, coordinatore del PPTR (in fase di osservazioni). Nel rispondere alle domande, Magnaghi pone l’attenzione sul contraddittorio uso delle energie rinnovabili, sulla discutibile colpa che viene attribuita ai piani paesaggistici rispetto alla crisi del settore edilizio, e soprattutto sul carattere non vincolante, ma progettuale del Piano (quindi un Piano di opportunità, non di meri divieti).

Di seguito trovate i link dell’intervista all’assessore Barbanente  e l’articolo “Territorio. Vincoli e linee guida della Regione” (che presentava il Piano), già pubblicati entrambi su Occhisullacultura.

PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 09_05_2012

Asilo ex Superga a Triggiano (foto Giuseppe Pavone)

Il triste paesaggio anti-europeo che fanno i giudici _ Nuove immagini della memoria

I giudici amministrativi e i loro commissari approvano lottizzazioni, dispongono varianti ai piani regolatori, annullano atti e sostengono le pretese dei privati contro i Comuni (molte volte vittime della propria pigrizia). Il governo del territorio scivola così come un terreno franoso sotto le spinte tettoniche di una giurisprudenza con poche analogie in Europa, almeno in quella franco-tedesco-scandinava che preferiamo prendere a modello. È l’Europa che riserva alla sfera pubblica non solo la capacità di dirigere le trasformazioni del territorio, ma anche di fissare all’edilizia l’obiettivo del «consumo zero» di suolo – succede in Germania – e di sottoporre ogni proprietà immobiliare ad una concessione a tempo determinato, sicché – come avviene in Gran Bretagna – ogni 50 anni bisogna riacquistare la validità residenziale del suolo privato, anche se già «costruito».

Il paesaggio «giudiziario» ha gli stessi difetti di quell’urbanistica che dovrebbe correggere: è astratto e normativo, fatto di indici e valori, di percentuali e coefficienti. Un paesaggio senz’anima e senza storia che non sia quella dei «diritti acquisiti». Ma in definitiva un paesaggio inesistente, giacché «l’immagine dell’environment – scriveva Kevin Lynch in Il tempo dello spazio (Il Saggiatore) – è il prodotto sia della sensazione immediata sia dell’esperienza passata raccolta dalla memoria: è essa che permette di interpretare l’informazione e di dirigere l’azione».

A questa idea si conforma il Piano paesaggistico regionale, il primo in Italia a dare attuazione al Codice dei Beni culturali e che si fonda sulla costruzione di un poderoso quadro di conoscenze, inedito nella sua unitarietà.

Ma è uno strano animale il paesaggio: dà l’impressione di essere così da sempre e intanto si trasforma continuamente. Ed è proprio questo mutare delle cose e dello spazio, della visione che abbiamo familiare, a generare il desiderio di fermare il tempo o almeno di salvare questo o quello, uno scorcio di campagna o una spiaggia o un palazzo di città cui abbiamo affidato il compito di essere la memoria del luogo, la materia della sua storia, il fatto della sua e della nostra identità.

Il paesaggio esiste, perciò, solo quando lo riconosciamo: è un prodotto culturale. Si tratta di alberi e di strade, di orti e di case, di ponti, ferrovie, campi incolti, fabbriche e stalle: in definitiva di tutto quel che l’uomo ha inserito nella «natura». E il paesaggio dell’area metropolitana barese è fortemente antropizzato, anche se la mano dell’uomo non appare poi così felice – a considerare l’invasione della campagna da parte della città costruita e lo sfrangiarsi del confine tra agricolo e urbano in un luogo ibrido e non privo, tuttavia, di carattere.

Raccontano con efficacia la complessità di un paesaggio, come quello di Triggiano, che ha tutte le caratteristiche appena indicate, le indagini fotografiche condotte negli anni passati sotto la guida di Pino Pavone e Enzo Velati e anche le ultime in mostra da domani a Triggiano, a palazzo Pontrelli (inaugurazione alle 18.30).

L’architettura si declina qui tra luoghi pubblici e edifici privati, tra le antichità neoclassiche e liberty e le costruzioni contemporanee fino alla suggestione metropolitana di un «grattacielo in piazzetta estrema». Ma c’è pure – in questa dialettica del tempo – un pezzo di Moderno che è già storia. È l’asilo Superga, progettato nel 1966 dallo studio tecnico Valtolina Rusconi Clerici di Milano e donato dalla Pirelli alla città dopo la chiusura della fabbrica.

Vedere le cose e la loro esitenza nello spazio, intravvedere la storia e insieme le piccole vicende individuali che a quelle cose sono legate: ecco il senso di una attività di indagine che deve evitare la tentazione retorica e l’attrazione fatale della nostalgia per «l’antico splendore» e che sa apprezzare le testimonianze della contemporaneità. Non numerose è vero. Anzi rare. Ma è una grande ingiustizia far precipitare tutto il Moderno – anche i casi puntuali di qualità – nel giudizio sommario sulla bruttezza e il degrado della dimensione urbana attuale.

La mostra si intitola Architetture e Paesaggi. Omaggio a Luigi Ghirri. E lo spirito leggero del fotografo emiliano lega questa mostra triggianese ad un altro appuntamento fotografico: oggi pomeriggio (17.30) nell’aula multimediale del rettorato del Politecnico Antonio Labalestra consegnerà una polaroid realizzata da Federico Burbello, già allievo dell’architetto Aldo Rossi che insieme a Ghirri inseguiva l’intenzione di immortalare «cose che sono solo se stesse».

 

NICOLA SIGNORILE

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