PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 20_06_2012

Casa Petrini-Villani a Polignano

Il mistero moderno della casa con la doppia pelle _ A Polignano l’opera di Antonella Mari

 
I vicini si rodono dalla curiosità. Com’è all’interno quella casa? Come ci vivono, lì? Che starà cucinando la signora? La casa Petrini-Villani è un piccolo mistero, a Polignano. Senza balconi, con le finestre schermate da una grande parete traforata di legno e ferro, non consente sguardi indiscreti.
 
Chi ha vissuto in una casa di campagna, si trasferisce in città inseguito da un sottile disagio: ha bisogno di sottrarsi alla invadenza del vicinato. Difendere la propria privacy, si dice con una espressione che la butta subito sul contenzioso legale ignorando invece la contraddizione che segna l’abitare urbano, teso tra la necessità della relazione sociale permanente e la definizione di una autonomia individuale. È questo, dopo tutto, che fa grande e insostituibile la città.
 
La casa progettata da Antonella Mari (con Matteo Lorusso, Wanessa Bruno e Antonio Lonuzzo) ai margini del quartiere ottocentesco della cittadina sulla costa rispecchia pienamente questa contraddizione vitale. E così  risponde alle esigenze dei proprietari della casa unifamiliare che si son visti assegnare per questa loro nuova casa il Premio Apulia 2012 istituito con la legge regionale n. 14 e destinato appunto alla committenza delle opere di architettura contemporanea.
 
C’è stato un dialogo intenso tra i padroni di casa e i loro architetti che sono riusciti a tradurre in un linguaggio formale assai controllato la domanda di spazi domestici, ma anche a convincere i propri clienti ad accettare scelte coraggiose, fuori dal comune. Come la  scala vetrata che, al centro dell’edificio, è anche un pozzo di luce. Convinti tutti, tranne il cane che mostra ancora un certa insofferenza per queste scelte di leggerezza e trasparenza così poco… tettoniche.
 
Il fabbricato è il risultato della ristrutturazione e sopraelevazione di un edificio compreso fra altre costruzioni, in un isolato. Dagli originari 4 metri e mezzo di altezza, l’edificio è cresciuto fino 7 metri (nella parte arretrata rispetto al fronte stradale) ma la differenza tra la preesistenza e il nuovo è fortemente segnata: su un basamento murario intonacato, il prospetto si completa con una doppia facciata: il sistema (già accennato) di pannelli di acciaio e di piastrelle di legno scuro che scherma e protegge le ampie vetrature più interne.
 
Il traforo della nuova parete  priva di aggetti  cita analoghe soluzioni adottate da Herzog e De Meuron al Museo del Flamenco a Jerez de la Frontera, ma soprattutto nella sopraelevazione del Caixa Forum di Madrid. Non si può ridurre – tuttavia  – al puro gesto estetico la scelta operata sulla doppia facciata della casa Petrini-Villani che risponde, oltre che alla domanda di riservatezza, anche e con efficienza alla necessità del controllo climatico ed energetico dell’edificio che trova sulla via Fattoi il suo unico affaccio.
 
La composita facciata risolve il problema – che è un problema cruciale – dell’inserimento della nuova architettura in un tessuto urbano consolidato e in particolare nella città storica: al volume opaco del piano terra, intonacato, è affidato il compito di dialogare con l’intorno e di assicurare continuità visiva all’isolato; allo schermo di ferro e legno – tessuto in una alternanza casuale di pieni e di vuoti – è affidato l’incarico di affermare l’autonomia dell’espressione formale della architettura nuova che si oppone alle lusinghe del mimetismo e ai rischi del pittoresco  mentre afferma  la piena cittadinanza della contemporaneità.
 
Da questo punto di vista, l’opera di Antonella Mari  – in coerenza con le altre opere segnalate dalla giuria del Premio Apulia nella medesima sezione riservata alla committenza (e in particolare al barese palazzo Picos  01 di Lorenzo Netti, alla leccese case a ballatoio di Alfredo Foresta  e al condominio realizzato da Stefano Serpenti a Casamassima) – dimostra l’affermarsi in questa edizione del Premio Apulia di una linea assai emancipata rispetto alla modesta lettura che della scena pugliese aveva tracciato Franco Purini nel suo saggio laterziano La misura italiana dell’architettura.

                                                                                                                                                                                                                                                                                             NICOLA SIGNORILE