«Io abito al Giappone», diceva. E poi capivi che il Giappone per lui era Japigia nuova, il quartiere così lontano dalla città che l’autobus numero due sembrava la Transiberiana. Molti anni dopo avremmo scoperto che anche a Milano c’era una Corea: così gli abitanti avevano ribattezzato Quarto Oggiaro, grumo di case popolari piene di operai meridionali immigrati. Bari ha sempre avuto un feeling con Milano, inutile negarlo. Si vede anche da queste cose. Il Giappone barese come la Corea milanese sono stati epicentri del mercato della droga negli Ottanta e oggi sono interessati da politiche di rigenerazione urbana, di riqualificazione della periferia. A Bari, questa politica si chiama Pirp, ma a differenza di Milano qui la gestazione del «programma integrato» non ha conosciuto quella partecipazione popolare che invece ha rianimato Quarto Oggiaro e che pure la legge regionale pugliese 20/2005 indicava quale requisito obbligatorio per accedere ai finanziamenti europei. Come si è dimostrato nel tempo, il coinvolgimento della comunità è stato talmente clandestino che la comunità se ne è accorta a cose fatte (ne abbiamo parlato in questa rubrica il 4 maggio 2001).
Un programma nato male e a cui si è cercato di dare una raddrizzata in corsa, almeno sul piano tecnico. Sono gli stessi architetti dei tre edifici costruiti in via Caldarola a dire che «la progettazione degli edifici ha comportato una revisione critica ed un approfondimento di quanto già previsto dal Pirp, sia negli aspetti distributivi quanto in quelli strettamente formali».
Pur così rivisti, i palazzi hanno suscitato reazioni negative nel quartiere, alle quali ha dato voce Matteo Magnisi, esponente di una associazione che opera a Japigia («Ancora scatole di opprimente cemento») a cui ha risposto maldestramente l’assessore comunale Gianni Giannini esaltando i vantaggi sociali ed economici che ne deriveranno, di fronte ai quali ha ben poca importanza l’estetica.
E invece questa era l’occasione per riparare al deficit di progettazione partecipata e ragionare sulle indubbie qualità di una architettura per la quale Antonella Calò e Grazia Nanna sono state segnalate nella sezione «under 40» del Premio Apulia, il concorso con cui la Regione intende accendere i riflettori sull’architettura contemporanea pugliese. Era ed è l’occasione per chiedersi infine se la buona architettura abbia davvero il potere taumaturgico di migliorare lo stato delle cose.
L’intonaco, per la sua neutralità, è un materiale che ben si presta ad una architettura caratterizzata dalla pulizia di linee geometriche essenziali, alla riduzione di pieni e vuoti a pura azione grafica. Ed è questo il carattere dei nuovi alloggi realizzati a Japigia. Il progetto di Calò e Nanna (con la guida di Franco Mantuano) ha voluto dare una risposta mite al tema di una edilizia residenziale pubblica (e dunque a basso costo) che però sia sostenibile dal punto di vista della futura gestione economica. A questo scopo rispondono le prestazioni energetiche dei fabbricati: rivestimento a cappotto per l’isolamento termico, impianto fotovoltaico per la produzione dell’ energia elettrica necessaria al condominio, accumulo dell’acqua piovana per l’irrigazione del verde. Tecnologie che tuttavia scompaiono nell’architettura dei tre edifici gemelli, privi di balconi: gli affacci sono ricavati in logge grazie ad una doppia facciata che avvolge la costruzione stereometrica, essenziale e pulita, esaltata dalla pensilina di coronamento, unico elemento aggettante. Unico gesto orizzontale che contraddice la verticalità delle fasce di intonaco che salgono dal terreno senza alcuna interruzione ai piani.
La composizione architettonica di questi tre palazzi dimostra, comunque, una consapevolezza del rapporto con la storia dei luoghi. Appare evidente il confronto critico con l’architettura realizzata da Vittorio Chiaia alla fine degli anni Settanta, nell’ambito del Peep di Japigia, di cui lo stesso Chiaia era progettista, insieme a Domenico De Salvia e Giovanni Fuzio. Ma anche la volontà di lasciarsi suggestionare da una cultura dello sviluppo urbano e della pianificazione delle periferie che, a conti fatti, ha acquisito al patrimonio pubblico aree libere sufficientemente grandi da consentire oggi una strategia di densificazione che reclama un alto controllo della qualità ed una diffusa, approfondita e autentica azione di partecipazione popolare alla progettazione.
NICOLA SIGNORILE