La città pubblica venduta sottocosto _ Villaggio Trieste e Murattiano, stessa sorte
Il «Giorno del ricordo», domenica scorsa, ha riacceso l’attenzione sul «Villaggio Trieste», costruito fra il 1953 e il 1956 per dare un tetto ai profughi giuliano-dalmati. Per decenni, in quelle 27 palazzine ha vissuto una comunità compatta, in scarse relazioni con la città, oggi ridotta ad una minoranza: «I baresi si sono impossessati del nostro villaggio», dice chi è rimasto.
La stessa commissione edilizia che approvò il progetto degli «alloggi per profughi» presentato dello Iacp esaminò pure la richiesta di demolizione di un edificio in via Sparano, che allora si chiamava via Vittorio Veneto. Istruttiva coincidenza, perché si tratta di due decisioni speculari: nel primo caso, via libera alla speculazione fondiaria; nel secondo, nulla osta alla speculazione immobiliare; nel primo caso, insensato consumo di suolo e frammentazione urbana, nel secondo dissennata densificazione del centro murattiano.
Due decisioni esemplari della gestione della città al tempo di Calza Bini e Piacentini, gli architetti romani chiamati a seppellire il piano regolatore di Concezio Petrucci e a creare le basi di quella privatizzazione dello spazio pubblico che sarà una costante delle vicende urbane della seconda metà del Novecento barese. E non pare che vi sia ancora una inversione di tendenza: la recente costruzione di appartamenti per le forze dell’ordine (i cosiddetti Art. 18) in aree destinate dal piano regolatore ai servizi, al verde e all’agricoltura ne è una plastica rappresentazione. continua a leggere
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