Chiesa di San Ferdinando, Bari – progetto di Saverio Dioguardi
San Ferdinando una tedesca senza gradini _ Dioguardi e il «giallo» del progetto
E adesso vogliamo anche i leoni e i capitelli e le vittorie alate! Non ci basta quella scalinata da sfilata di moda! Li vogliamo perché li aveva concepiti proprio lui, l’architetto Saverio Dioguardi: abbiamo le prove!
In via Sparano un cannocchiale senza fondale _ Le palme, i negozi e gli urbanisti
«Gli alberi di corso Cavour servono solo a nascondere le belle insegne dei negozi e a favorire una moltiplicazione di insetti, e quelli di via Putignani vengono lasciati crescere soltanto perché la sostituzione di alcuni di essi ormai rinsecchiti costa più dell’espiantamento di tutti gli altri e del relativo ripristino del marciapiede». Le parole del professor Donato Scaramuzzi, famoso agronomo e consigliere comunale risuonano ancora nell’aula di Palazzo di città. È il 1949 e il sarcasmo di Scaramuzzi dà voce ad una parte non insignificante della città, la stessa che avrebbe sostenuto di lì a poco l’approvazione del piano regolatore di Piacentini e Calza Bini, padre di tutte le speculazioni. Scaramuzzi dà voce ad un ceto bottegaio che odia a tal punto le querce di corso Cavour da volerle morte: e qualcuno davvero fu sorpreso dai vigili urbani mentre le innaffiava con l’acido muriatico, sperando che seccassero una volta per tutte.
L’interno del negozio Giove progettato da Marino Lopopolo nel 1937
In quella strada la vecchia abitudine di vedere il futuro _ Un secolo di negozi e architetti
Sentivamo la mancanza dell’autorevole e inconsapevole giudizio di Vittorio Sgarbi sul progetto per via Sparano, oramai prossimo alla gara d’appalto. «Sradicare le palme è un atto criminale» ha detto il critico d’arte, aggiungendo sale all’imbarazzante, sgangherato dibattito. Ma l’unica vittima finora accertata è l’architettura. Chiunque sia il vincitore (l’amministrazione comunale oppure i «salvatori» della via dello shopping) sul terreno rimarrà l’idea che un progetto possa trasformare un luogo e migliorare la vita di chi lo abita.
Lo spazio pubblico è una città tutta da mangiare _ La «Primavera mediterranea»
La «Primavera mediterranea» che si è conclusa domenica scorsa ha portato nella via Argiro pedonalizzata (ma solo per isolati!) le installazioni temporanee di giardinieri e vivaisti, il più delle volte spalleggiati da architetti. Come Tommaso Nasti che ha curato l’allestimento di «Esecuzione verde», puntando sull’orto urbano: declinazione radicale del tema di questa quarta edizione della rassegna curata da Nuccia Rossiello e cioè quello del «Giardino edibile», in cui ortaggi e frutta di stagione si mescolano con fori e piante.
Buon successo di pubblico, che fa leva sulla nostalgia sempre efficace dei giardini perduti del centro murattiano, quegli spazi verdi conclusi in ciascun isolato finché furono efficaci le rigide regole edilizie degli «statuti murattiani».
Piazza Umberto I in una cartolina del 1910 (foto Lobuono)
Spazio pubblico fra cancelli e vecchi merletti _ L’ingenua idea di recintare i giardini
L’idea di recintare con una cancellata piazza Umberto I per fronteggiare il degrado, sporcizia e microcriminalità è ingenua, oltreché superata.
Prima del senatore D’Ambrosio Lettieri e dei vertici cittadini del centrodestra – che l’hanno appena lanciata -, ci aveva già pensato qualcuno, tanti anni fa e riuscendovi, peraltro.
La piazza (solo metà, quella prospiciente il palazzo Ateneo) era già recintata il 24 aprile 1915, quando l’acqua del Sele zampillò per la prima volta dalla fontana dell’Acquedotto Pugliese, al centro di un giardino tutto pavesato. La recinzione (un muro basso sormontato da una cancellata di ferro battuto) era stata realizzata nel 1900 e inizialmente chiudeva con due battenti anche via Andrea da Bari. Ma agli inizi degli anni Trenta venne rimossa per ricongiungere il lato est al lato ovest, dove c’è il monumento equestre. E così andò in archivio il tentativo di imitare una risorgimentale «villa comunale» che Bari non ha mai avuto: la recinzione infatti non si addice allo spazio pubblico, ma resiste traccia della invalicabile proprietà privata – come oggetto architettonico nelle antiche ville espropriate alla nobiltà locale fra il decennio napoleonico e i primi anni dello stato unitario. continua a leggere