PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 01_03_2017

Case operaie: la colonia Alfredshof | schizzo di Mauro Amoruso

L’espansione soffoca le case popolari _ Il paradosso: alloggi vuoti, fitti alti

«Non siamo in presenza di una carenza di alloggi, anzi c’è una sovrabbondanza di appartamenti non affittati». L’affermazione che in apparenza smentisce il dogma della cosiddetta emergenza abitativa è di uno che di edilizia e di urbanistica se ne intende. Franco De Lucia, oggi presidente dell’Uppi (l’associazione dei piccoli proprietari di immobili), è stato in passato sindaco di Bari. Erano gli anni Ottanta, gli anni in cui muoveva i primi passi la variante generale al Piano regolatore di Bari, che porta la firma di Ludovico Quaroni. Erano gli anni in cui si mettevano all’incasso le prime «lettere di credito» della speculazione fondiaria, grazie ad una politica urbanistica iperespansiva, congegnata per il mito della Città-Regione.
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PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 31_10_2012

Volkmarsdorf _ Leipzig

Vincoli in centro ostaggi di forze uguali e contrarie _ Lo scontro approda al Comune

Ha preso un brutta strada, il vincolo paesaggistico sui quartieri centrali. Oggi la commissione urbanistica del Comune sentirà l’assessore regionale Angela Barbanente e l’assessore comunale Elio Sannicandro sul procedimento di vincolo avviato lo scorso 3 luglio. E i componenti di quella commissione scopriranno un paio di verità che avrebbero pure potuto già conoscere se solo avessero letto le carte, prima di diramare inviti e convocazioni sull’onda delle «numerose sollecitazioni». E cioè: 1) il vincolo non è stato ancora applicato ma è stata  soltanto avviata la procedura; 2) la stessa procedura prevede l’attivazione di una «inchiesta pubblica», secondo i modi stabiliti dal Codice dei Beni culturali.

Una settimana fa, in questa stessa rubrica, avevamo manifestato il timore che l’«inchiesta pubblica» – strumento di governance al suo debutto, a queste latitudini – potesse risolversi nel nome nuovo applicato alla vecchia pratica che contrappone i (deboli) interessi pubblici ai (forti) interessi privati. Purtroppo già il linguaggio adoperato in commissione («al fine di evitare disagi alla comunità cittadina») ci indica che il timore era fondato.

E allora è il caso di sgomberare il campo da un equivoco che potrebbe alimentare il consueto duello Comune-Regione: la proposta del vincolo non è della Regione, ma della Direzione regionale per i Beni culturali e risale al 26 novembre 2010. L’ufficio regionale all’Assetto del territorio ha convocato allora la commissione prevista dal Codice dei Beni culturali e la prima riunione si è svolta il 21 giugno dell’anno scorso. Vi ha preso parte anche il Comune di Bari, che non solo  si è detto favorevole ma ha pure partecipato attivamente a modificare il testo  del decreto nelle cinque riunioni successive. Dunque è sbagliato parlare di un atto della Regione Puglia e sinceramente non si comprendono le titubanze postume del Comune di Bari.

Il rischio è che una buona, attesa iniziativa si trasformi in un boomerang. Spingono verso questo rischio forze uguali e contrarie. Da una parte i difetti del vincolo proposto, che abbiamo già indicato nella rubrica di mercoledì scorso e che in sintesi estrema consistono nella  puntigliosità delle prescrizioni tecniche e dei divieti irragionevoli. Dall’altra, c’è la resistenza degli imprenditori edili che sempre invocano regole certe ma, quando le hanno, poi le respingono gridando al pericolo di un blocco totale del settore.

Poiché secondo il vincolo il divieto di demolizione e ricostruzione riguarderebbe solo gli edifici realizzati prima del 1942 e non certo quelli successivi, gli imprenditori tradiscono così il loro vero, profondo pensiero: che l’attività edilizia sia solo quella del «nuovo» e del «più grande», non considerando affatto il settore del restauro che invece proprio dal vincolo riceverebbe un formidabile impulso.

Tuttavia sul restauro bisogna intendersi: ci pare che nella proposta di decreto i conservatori della Soprintendenza abbiano calcato la mano, spingendosi addirittura a considerare il falso ottocentesco come unica possibilità di ricostruire ciò che crolla (e da sé, beninteso, per disgrazia). Il restauro nella città, però, non è il restauro di un monumento: deve fare i conti con la fisiologica, insopprimibile fame di trasformazione che scorre nei vasi sanguigni e linfatici del corpo urbano. Per questo bisogna avere il coraggio di decidere ciò che è bene conservare  e cosa no, indipendentemente dal certificato di nascita. Il vincolo paesaggistico generalizzato forse non è lo strumento più idoneo per questo. Potrebbe essere utile per ingessare Bari vecchia spingendola ancor più verso un malinconico destino di «parco a tema» ad uso dei turisti, ma non certo per un quartiere popolare come il Libertà i cui «caratteri identitari» (per usare una categoria cara ai redattori del decreto di vincolo) forse sono ben altro che la riproduzione grossolana della trama «murattiana» nel suo disegno urbanistico.

E tuttavia una forma di controllo sulla trasformazione della città storica, consolidata bisogna trovarla, con o senza divieti. Nel resto d’Europa lo fanno con i vincoli. In Germania, per esempio, interi quartieri – anche popolari –  sono sotto la Denkmalschütz (tutela monumentale) imposta dal Comune e dal Land. E sono quelli più appetibili sul mercato immobiliare.

Forse è il caso di andare a vedere come fanno lassù.

NICOLA SIGNORILE

 

PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 25_07_2012

Bundesverwaltungsgericht_Lipsia

Palagiustizia ma senza perdere la campagna _ Cittadella, i nei della variante

Domani iniziano i lavori di consolidamento statico del Palagiustizia di via Nazariantz, disposti dall’Inail, che è l’ente proprietario dell’immobile.
In settimana la Commissione di manutenzione presso la Corte d’Appello di Bari riceverà dal Comune lo studio di fattibilità per le sedi alternative e provvisorie: comunque vada  e qualunque sia l’opinione dei magistrati, come anticipato ieri dalla Gazzetta, prima di Natale non ci sarà alcun trasloco.
Intanto, l’avv. Giuseppe Albenzio, il commissario nominato dal prefetto per eseguire la decisione del Consiglio di Stato sulla Cittadella della giustizia, sta esaminando le opposizioni e le osservazioni alla variante urbanistica che è stata progettata dall’architetto romano Claudio Catucci e che Albenzio ha firmato.
Come già riferito in questa rubrica, alla variante si oppone, tra gli altri, la Consulta comunale dell’ambiente, che riunisce numerose e storiche associazioni impegnate nella difesa del patrimonio paesaggistico e dei beni comuni: da Italia Nostra al Fai, da Legambiente a Sviluppo Sostenibile. La manifestazione di dissenso delle associazioni è un fatto  previsto dalla procedura di approvazione di una variante, soprattutto in questo caso: si tratta infatti di trasformare in città poco meno di 29 ettari di campagna.
Che la campagna sia incolta  e degradata, poco importa dal punto di vista urbanistico: perché una campagna libera può tonare ad essere area agricola, mentre una edificazione è irreversibile. Cioè, la campagna è una risorsa non rinnovabile e dovrebbe impressionare chiunque il fatto – richiamato nelle osservazioni della Consulta – che «nonostante il decremento della popolazione barese, il consumo del suolo nel 2000 si è triplicato rispetto al 1961 raggiungendo i 9.269 ettari». Negli ultimi 40 anni sono stati consumati mediamente ogni anno 159 ettari e solo nel decennio 1990-2000 il consumo è stato di 282 ettari all’anno. Si può andare avanti di questo passo? Se guardiamo alla Germania – paese virtuoso sotto moltissimi aspetti – scopriamo che il governo (conservatore) di Angela Merkel ha fissato al 2020 l’obiettivo del «consumo zero» di suolo e come spesso avviene nelle cose tedesche ci sono buone probabilità che l’obiettivo venga raggiunto ben prima di quella data.

Dunque, l’Europa marcia verso la rigenerazione urbana, la riqualificazione dei quartieri periferici e la densificazione delle città. A Bari invece una variante imposta dai giudici di Palazzo Spada contro la volontà dell’amministrazione comunale potrebbe pregiudicare la sopravvivenza di quel prezioso «cuneo di campagna» salvaguardato da Ludovico Quaroni nel suo piano regolatore.
Ma come si giustifica, sul piano tecnico, la variante del commissario? Era il bando della ricerca di mercato «dettata» dalla Commissione di manutenzione ad ammettere la possibilità di una variante nel caso di mancanza nel piano regolatore di adeguate aree per l’edilizia giudiziaria. Ma è lo stesso  progettista della variante ad ammettere (pag. 12-13), che quelle aree esistevano ed anzi erano state individuate dal Comune nel 1990. In particolare l’area del Tondo di Carbonara.  E proprio in virtù di questa prossimità, anziché trovare come sarebbe logico, un buon motivo per negare la possibilità di realizzare la cittadella sui suoli della proprietà Lamberti, a sud dello Stadio San Nicola, il progettista afferma che ciò  prova «la validità urbanistica della ubicazione  della Nuova Sede Unica degli Uffici giudiziari di Bari, il cui sedime è oggetto della presente variante».

Nella città sassone di Lipsia nessuno si è sognato, nemmeno nel clima euforico  dopo la caduta del Muro, di costruire un cittadella della giustizia nel grande cuneo verde che attraversa la città da nord a sud. Per la nuova sede del Tribunale amministrativo federale, il Bundesverwaltungsgericht, è stato naturale pensare al restauro del vecchio Tribunale imperiale progettato alla fine dell’Ottocento da Ludwig Hoffmann e Peter Dybwad. Tra l’altro, è  il tribunale in cui si svolse nel 1933 il processo di Lipsia e in cui Gyorgy Dimitrov, accusato dell’incendio del Reichstag, ribaltò le accuse contro il nazisti.
La storia ha il suo peso, nella salvaguardia del paesaggio, in una città come Lipsia, che non a caso è già vicinissima al consumo zero di suolo.

NICOLA SIGNORILE

BEYOND _ Una chiesa e la sua energia dal sottosuolo

Katholische Propsteikirche St. Trinitatis in Leipzig

La costruzione della St. Trinitatis a Lipsia, in Germania: il più grande tempio cattolico nella ex Ddr

Tremano una volta al mese le finestre delle case di Lipsia e di Chemnitz. Una volta al mese, ogni volta che esplodono contemporaneamente 2400 cariche di dinamite nella cava di Rochlitz. Dalla più antica miniera di pietra della Germania si estraggono 1000 tonnellate di porfido che tagliate in lastre dello spessore di 10 cm serviranno a rivestire i 5mila metri quadri di facciate della nuova chiesa cattolica di St. Trinitatis a Lipsia. Operazione da 15 milioni di euro per 32mila metri cubi.

Gigantesca anche per i significati che si trascina dietro: la più grande chiesa cattolica della ex Ddr sta per sorgere sul ring della metropoli sassone e luterana, proprio dirimpetto al palazzo del Municipio, nel luogo in cui è nata la città. E infatti aperto il cantiere, subito i lavori si sono fermati per sei mesi per consentire agli archeologi di studiare i resti affiorati dai primi scavi: forse sono le tracce della perduta chiesa di S. Pietro (XI secolo), o forse del convento di S. Giorgio, distrutto durante l’assedio di Carlo V (1546). Non ci sono dubbi invece sulla datazione delle numerose bombe – finite lì insieme alle macerie della Seconda Guerra Mondiale – che hanno impegnato squadre di artificieri.

Il progetto dello studio Schultz&Schultz è stato scelto con un concorso, bandito nel 2009, nel quale si sono piazzati al secondo posto gli agguerriti e potenti architetti di Monaco Allmann Sattler e Wappner e si sono messi in mostra anche i giovani sassoni Silvia Schellengerg e Sebastian Thaut, marito e moglie titolari dello studio Atelier St di Lipsia. Anche i fratelli Ansgar e Benedikt Schultz hanno sede a Lipsia dal 1992, ma loro ci sono arrivati dalla Renania mettendo a segno molti successi, tra cui il “laboratorio delle nuvole” per l’istituto di ricerca della Troposfera e l’ampliamento della Nikolaischule.

Per la chiesa parrocchiale della Trinità puntano diritto al rapporto con la storia e il luogo, scegliendo un materiale come il porfido, cioè la stessa pietra rossa, porosa ma durissima, con cui sono costruiti i monumenti più significativi della città: il rinascimentale Altes Rathaus e il novecentesco Grassimuseum (di William Zweck e Hans Voigt). Linguaggio asciutto, minimalista, con evidenti rimandi al funzionalista Palazzo delle Poste (progettazione collettiva, sotto la guida di Kurt Nowotny, 1961-64). Su un lotto triangolare, fra la chiesa, la canonica e il campanile, un chiostro chiuso da muri massicci.

Ispirata a principi di sostenibilità energetica, la chiesa avrebbe dovuto essere dotata di un tetto fotovoltaico, ma gli architetti hanno cambiato idea strada facendo e optato per un sistema geotermico, progettato dagli scienziati del Politecnico di Dresda: il calore necessario all’autosufficienza climatica del fabbricato sarà prelevato da sonde infisse nel sottosuolo, alla profondità di 100 metri. Pare che il sistema sia più efficiente ma soprattutto meno esposto ad avarie rispetto ai pannelli solari. Certamente, ad impatto visivo zero.

La chiesa della Trinità è già il simbolo di una nuova stagione della ricerca sull’energia da fonti alternative, ma la sfida tecnologica non offusca quella religiosa. “Sarà un segno di speranza della fede cristiana che si irradia oltre i confini della città”, ha detto il prevosto Lothar Vierbock. “E’ solo un’altra torre in città che non interessa affatto al 90% della gente”, gli ha risposto scettico Wolker Külow, deputato regionale della Linke, il partito della sinistra radicale. Ma infine anche la Linke ha votato a favore del progetto in consiglio comunale.

di Nicola Signorile

articolo da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 28|02|2012

 

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