Santa Scolastica, il bastione della vendetta _ Il bluff del museo archeologico
Sembrava assurdo che il vero obiettivo dell’estenuante tira e molla sul restauro del complesso di Santa Scolastica – per farne la sede del museo archeologico – fosse una vendetta contro l’architettura del secondo Novecento. Ma adesso ne abbiamo la prova: a cinque anni dall’inizio dei lavori che avrebbero dovuto concludersi nell’estate del 2013 l’unico pezzetto dell’antico monastero aperto inutilmente al pubblico è il bastione all’interno del quale negli anni Ottanta era stata realizzata l’aula sospesa su progetto dell’architetto Angelo Ambrosi. Ora – come abbiamo riferito nei giorni scorsi – non funziona nemmeno il proiettore del mirabolante «supporto multimediale», attrazione unica (nel senso che non c’è altro da vedere) di un museo da Peter Pan.
Teatro Margherita, nuovo arsenico e vecchi merletti _ Nasce il «Polo contemporaneo»
«Non è meglio abbatterlo?». Ogni volta che si torna a parlare del teatro Margherita e del suo restauro c’è qualcuno che lancia la proposta della demolizione, magari con l’aria di aver avuto un’idea originale. In effetti il teatro galleggiate avrebbe dovuto scomparire già diverse volte, almeno fino a quando non è stato vincolato dallo Stato come bene culturale, esattamente il 9 gennaio 1981, data del decreto ministeriale. Una decisione che fece andare su tutte le furie Ludovico Quaroni, maturata proprio mentre l’architetto romano lavorava al piano regolatore di Bari.
Paoli, Patty Pravo e il progetto di realtà inattese _ Foto-disegni di Domenico Pastore
«Il cielo in una stanza» di Gino Paoli è stato un contributo fondamentale per definire teoricamente la percezione dello spazio abitativo, superando le angustie della teoria della Gestalt. «Quando tu se qui con me, questa stanza non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti», sosteneva Gino Paoli. E sappiamo che in quel passaggio tra l’interno e l’esterno era andato perduto un soffitto dall’improbabile colore viola, che Paoli ha sostituito con una assenza: «vedo il cielo sopra noi, che restiamo qui». continua a leggere
L’efficace schizzo di Onofrio Mangini del progetto di concorso per l’area del Ferrarese
Il Margherita e la grammatica dei sentimenti
La grammatica ha un grande potere: cambia le carte in tavola. Certe volte basta un plurale per far rientrare dalla finestra quel che è uscito dalla porta. Prendiamo il caso del Bac. L’acronimo stava per Bari Arte Contempranea, ora sta per Bari Arti Contemporanee. Ma sempre Bac rimane, così non è chiaro se il vecchio sia stato sepolto oppure sia sempre vegeto, oppure sia uno zombie che continuerà a disturbarci i sogni.
La vecchia sigla indicava il museo ipotizzato due anni fa e al quale doveva essere destinato il teatro Margherita, modificato per l’abbisogna secondo i disegni dell’architetto David Chipperfield. Il progetto è naufragato per l’opposizione della Regione Puglia che, chiamata a cose fatte a metterci tutti i soldi necessari, non ha trovato per niente convincente né conveniente la fondazione pubblica-privata che avrebbe dovuto gestirlo.
Ora che il teatro Margherita (di proprietà del Demanio) è stato permutato con l’ex Macello e l’ex Frigorifero comunale, sedi dell’archivio di Stato e della Biblioteca nazionale, si può inseguire uno degli obiettivi del Patto per Bari firmato il 9 gennaio scorso da Vendola e da Emiliano. Parliamo del cosiddetto Miglio dei teatri. «Al teatro Margherita, inutilizzato da molti decenni,- si legge nel Patto – va affidata, dopo una adeguata ristrutturazione degli spazi, la funzione di laboratorio mediterraneo del teatro, della danza e delle arti sceniche e visive, una casa da offrire alle realtà produttive cittadine in cui convergano multidisciplinarietà, innovazione e sperimentazione delle arti contemporanee». continua a leggere
Il nuovo dipartimento d’arte islamica nella corte Visconti del Louvre
Le vestali dell’antico sono allergiche ai metalli moderni _ Il Louvre, i vincoli e S. Scolastica
A Bari li avrebbero umiliati e offesi, se Mario Bellini e Rudy Ricciotti si fossero presentati con l’idea di una vetrata per coprire – facciamo un’ipotesi – un cortile della Manifattura dei tabacchi o di Palazzo Ateneo. Ma siccome e per fortuna Parigi non è Bari (nemmeno se piccola, con o senza mare) lì glielo hanno fatto fare: un grande tappeto volante lungo quasi 50 metri e largo una trentina. Poggia su otto pilastri quella superficie ondulata, traslucida di vetro e – orribile a dirsi! – di alluminio. Proprio dentro il Louvre, che aveva bisogno di fare spazio alla collezione di arte islamica e lo spazio l’ha trovato nella neoclassica corte Visconti (1860): il nuovo padiglione è stato inaugurato solo un mese fa, dopo lavori ragionevolmente lunghi (sono durati cinque anni) e a ben dieci anni di distanza dal giorno in cui il presidente Chirac lanciava il progetto di un museo islamico, soltanto un mese dopo l’attentato alle Twin Towers.
Qui a Bari, invece, a confronto con il fanatismo dei tecnici della Soprintendenza persino gli affiliati ad Al Qaeda sembrerebbero pacifici relativisti: gli edifici – belli o brutti, non importa, purché costruiti prima del 1942 – abbiano soltanto infissi di legno e comunque mai e poi mai l’alluminio, in qualsiasi lega e versione! È quel che prevede la proposta di decreto di vincolo paesaggistico dei quartieri Murat, Libertà, Madonnella nonché di Bari vecchia che sta suscitando in queste settimane contestazioni da parte degli edili e opposizioni degli artigiani del metallo e tardive resipiscenze dell’amministrazione comunale e dei suoi tecnici che quei divieti futuri hanno contribuito attivamente a scrivere (come si rileva dai verbali della commissione regionale).
Il punto importante, ora, non è la scelta se fare una finestra di legno o di metallo (peraltro esistono sul mercato prodotti «sandwich» ad alta efficienza energetica) ma la volontà di imporre una sorta di prontuario del restauro, indipendentemente dal progetto che invece dovrebbe essere al centro dell’attenzione, con le sue ragioni e le sue libertà. Un inaccettabile, insostenibile manuale della presunta «purezza murattiana» che nega ogni possibilità di interpretazione contemporanea del riuso dell’edificio e della città, attraverso un onesto linguaggio contemporaneo che è fatto anche di materiali contemporanei. E per fortuna, dobbiamo dire a questo punto, c’è stata l’insipiente e insipida decisione dell’amministrazione provinciale di non affidare il progetto del museo archeologico a Santa Scolastica a Gae Aulenti che conquistò il secondo posto nel concorso internazionale vinto nel 2008 dal gruppo di Cesare Mari con una proposta bocciata a Roma dal Comitato tecnico dei Beni culturali. Diciamo per fortuna, perché non vorremmo neanche immaginare Gae Aulenti, la signora dell’architettura italiana scomparsa la settimana scorsa, alle prese con le vestali dell’antico.
Il progetto di Gae Aulenti per Santa Scolastica, infatti, si annunciava come «una ulteriore fase di trasformazione dell’edificio» e prevedeva di conservare gran parte degli interventi realizzati negli anni Settanta da Angelo Ambrosi e Giuseppe Radicchio perché «è uno dei tanti strati che compongono la storia dell’edificio». Alle facciate vetrate realizzate negli anni Settanta, per ridurre gli effetti della insolazione Aulenti sovrapponeva una facciata ventilata in acciaio corten: «una campitura astratta e neutra, priva di dettaglio, sfondo perfetto – diceva l’architetto – in grado di dare risalto alle pareti originarie del complesso in pietra». La facciata d’acciaio da una parte avrebbe evitato il rischio di mimetismi e di ricostruzioni in pietra simil-antico, dall’altra avrebbe dialogato onestamente – da contemporanea – con le costruzioni metalliche di Ambrosi e Radicchio.
Non è andata così, come sappiamo. Alla fine si è tornati alla vecchia idea della Soprintendenza, riveduta e corretta, ma sempre vendicativa verso la modernità. E mentre ripensiamo alle occasioni perdute, tornano alla mente le parole di Gae Aulenti che considerava un museo attuale alla stregua di una cattedrale: «perché quel che si racconta in un museo non è soltanto la memoria ma anche il modo in cui oggi si manipola la memoria».
Terribili parole, ma non ditele ai crocieristi che, uscendo dal Porto, attraverseranno l’art-way dentro Santa Scolastica. Non capirebbero.