
Lido Nettuno, un bombardiere a S. Francesco _ Il progetto irrealizzato di Marino Lopopolo
Un aereo adagiato sul pelo dell’acqua: è lo stabilimento balenare «Nettuno», sulla spiaggia di San Francesco all’Arena, a pochi metri dalla Fiera del Levante che ha aperto i suoi cancelli per la prima volta solo quattro anni prima. Il grande lido-aeroplano proposto dal concessionario, l’imprenditore Ficarra, non è mai riuscito a staccare le ali da terra, anzi dalla carta, cioè dai disegni dell’architetto. Al giorno d’oggi meno che mai sarebbe possibile realizzare un edificio del genere, sebbene a qualcuno piacerebbe assai, nonostante le linee-guida del piano delle coste e le regole urbanistiche.
Una «architettura mai costruita» – diciamo con le parole di Joseph Ponten – che pur nella sua dimensione immateriale e addirittura per il suo destino impossibile ha molto da raccontarci in queste settimane affollate di progetti di lungomare, riqualificazioni di warterfront, concorsi espletati e concorsi da lanciare, dalla riva di Levante a quella di Ponente, con lo sbarco delle archistar (da Stefano Boeri, presidente dei giudici per Bari vecchia, a Oriol Bohigas, maestro di ramblas catalane per Santo Spirito) e l’approdo alla concretezza degli imprenditori associati.
Il progetto del «Nettuno» fu affidato ad un giovane architetto originario di Bisceglie e trasferitosi a Bari con la famiglia nel 1934: Marino Lopopolo. Le carte – custodite con ammirevole cura dal figlio, Eugenio, architetto e artista – portano la data del 1934. Sono dunque passati solo due anni dalla discussione della tesi di laurea (il tema: «La casa dei Piloti») all’università di Napoli, Regia Scuola di Ingegneria, dove Lopopolo era – lo racconterà lui stesso in una nota autografica, nel 1979 – l’unico iscritto al corso di Architettura! Sarà stato un genio, sarà stato facilitato dalla convinta adesione al fascismo ma era pur sempre un neolaureato cui viene affidato un progetto importante, insieme all’incarico di disegnare diversi padiglioni per la Fiera del Levante (Birra Raffo, Banco di Napoli, Friggitoria Virgilio, Cementificio Isonzo, padiglione del Mare). Che dobbiamo pensare, se osserviamo come oggi il Comune di Bari impedisca di fatto ai giovani architetti di partecipare ai suoi concorsi, come quello per il lungomare di Bari vecchia?
Ma torniamo a Lopopolo: sarebbe un errore pensare che il giovane architetto si sia ispirato alla propria tesi di laurea quando ha immaginato un lido a forma di aeroplano, perché in effetti il progetto conosce una evoluzione. Nei primi disegni, oltre alle attrezzature a terra (le cabine, i servizi, un giardino) si protende nel mare un «pennello», cioè un lungo esile molo su palafitte, che termina con una costruzione cilindrica – di stile ancora eclettico – circondata da una piattaforma triangolare, che in pianta sembra prefigurare il padiglione della Germania progettato per la X Fiera della Levante nel 1940.
Nell’ultima versione è un biplano che punta all’orizzonte: un’ala è la sala da pranzo, l’altra è la sala da gioco, la carlinga è il salone delle feste sormontato da un terrazzo turrito che si raggiunge anche da una scalinata esterna: la fusoliera. L’aereo ha perduto infine il suo carattere civile, turistico, è diventato un minaccioso bombardiere. L’emergere della forma aeronautica è dunque posteriore alla prima idea che nel corso del tempo si fa più complessa, certamente su richiesta del committente, il quale vuole competere con il Barion, il ristorante futurista a forma di nave, progettato da Saverio Dioguardi al largo della spiaggia del Filosofo e realizzato proprio nel 1934. E non siamo lontani dal vero se affermiamo che in questa evoluzione del progetto del «Nettuno» giocò un ruolo l’architetto Dioguardi, la cui firma appare nelle ultime tavole (in una prospettiva sembra proprio aggiunta a posteriori).
Non stupisce questa collaborazione perché il più maturo Dioguardi – architetto e imprenditore edile – aveva partecipato quello stesso anno con Pietro Maria Favia e, appunto, Marino Lopopolo al concorso nazionale per il palazzo del Littorio a Roma: forse l’evento più importante per l’architettura italiana, quell’anno, e peraltro assai istruttivo sulla gestione dei concorsi pubblici che allora non erano affatto esenti da traffici, magagne, alleanze forzose, accordi sottobanco e ricatti professionali e scambi accademici. Come dicono i cavalieri della giarrettiera: «Honni soit qui mal y pense», svergognato chi pensa a male. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti, ottant’anni dopo, è puramente casuale.
di NICOLA SIGNORILE
(pubblicato meroledì su “La Gazzetta del Mezzogiorno”)