La legge violenta delle periferie senza un centro _ Bari nelle foto di Mara Dani
Una città senza centro. Tutta periferia. Inconsueta è l’immagine di Bari che ci restituiscono le fotografie di Mara Dani raccolte in un volume dal titolo «Almost Bari», prodotto sotto la guida di Alessandro Cirillo. Un titolo che è già indizio dell’approssimarsi ad una idea di città incompleta, indefinita, provvisoria, in trasformazione. L’architetto Gian Luigi Sylos Labini riconosce nel lavoro di Dani «un contributo attento e sofisticato – così scrive nella presentazione al libro – che stimola una conoscenza più profonda, utile alla comprensione delle identità dei luoghi e delle loro dinamiche di trasformazione e, in definitiva, alla formazione di una “coscienza urbana”». Sylos Labini evoca, con tutte le cautele del caso, il tema «usato e abusato» della rigenerazione urbana, tema urgentissimo nel dibattito che coinvolge architetti e urbanisti ma non ancora seriamente i politici, le imprese e la finanza.
Nella formazione del nuovo Piano urbanistico generale si deciderà se e a quali condizioni la rigenerazione urbana – intesa come «costruire nel costruito», ricostruzione della città consolidata – avrà la meglio sull’ulteriore consumo di suolo o se invece si proseguirà sulla strada della espansione. Da questo punto di vista, l’indagine fotografica contribuisce ad aggiornare l’immagine della città proprio sulla linea critica del rapporto centro/periferia.
È una immagine multipla, quella in cui si riflette Bari attraverso la fotografia e che pure sfugge al ricatto della oleografia. Alle immagini di un fotoreporter come Uliano Lucas, che ha iniziato a raccontare questa città negli anni Settanta – sempre su invito di Maruzza Capaldi – si sono aggiunte poi quelle di Luigi Ghirri che ha contrapposto una città dei segni alla città della gente. Un milanese e un emiliano. Altri sguardi «stranieri» si sono intrecciati successivamente, con il lavoro di grandi maestri: Gianni Berengo Gardin, Giovanni Chiaramonte e soprattutto Gabriele Basilico che a Bari ha dedicato dieci anni fa un importante reportage commissionato dalla Pinacoteca Giaquinto, grazie all’iniziativa di Clara Gelao. Non può prescindere da questa prospettiva «straniera» l’attività che tanti fotografi baresi hanno dedicato allo spazio urbano e all’architettura contemporanea a Bari (ricordiamo, fra quelli più «sistematici», Alberto Muciaccia e Manlio Capaldi, e poi Berardo Celati e il duo Sergio Leonardi-Nicola Amato).
A questo impasto di visioni urbane appartiene, da ora, anche il lavoro di Mara Dani che confessa il suo debito soprattutto nei confronti di Basilico. E in effetti il reportage ci consegna una città senza cittadini, un paesaggio di pietra (o meglio di asfalto e cemento) dal quale è assente ogni forma di popolazione. Una città metafisica, alla quale ci ha abituati quella linea maggioritaria nelle riviste di architettura a partire dagli anni della crisi della critica.
E tuttavia, così come accade nei maestri di riferimento, anche Mara Dani ci offre con una quarantina di scatti in bianco e nero l’occasione di una lettura della città declinata nella antinomia degrado-qualità. Da una parte i muri sbrecciati a San Girolamo, la discarica abusiva nel quartiere Libertà, le sterpaglie a Japigia, l’assedio delle automobili parcheggiate a Carrassi. Dall’altra, l’austera eleganza dell’edilizia popolare di via Crispi, in cui si riconosce la mano abile dell’architetto Pietro Maria Favia, si contrappone allo sconcertante affaccio dei fabbricati sulla cava di Maso, a Carbonara. Ma sarebbe un errore bollare come «brutta» tutta la periferia e attribuire agli architetti e agli ingegneri che le hanno progettate la colpa di ogni male. È proprio lo sguardo metafisico e disabitato di Mara Dani che ci permette di apprezzare la qualità formale delle palazzine del primo nucleo del San Paolo, opera del gruppo di Pasquale Carbonara. E fa risaltare nella periferia le architetture eccezionali: la chiesa del Salvatore a Loseto (di Ottavio Di Blasi), lo Student Center del Politecnico (di Lorenzo Netti), un condominio a San Cataldo (di Davide Cara), un palazzo di uffici in via Marin (di Donato Bosco e Onofrio Mangini).
Nella intenzione di Mara Dani non c’è tuttavia un ennesimo catalogo dell’architettura, semmai la testimonianza delle aporie della città: il centro murattiano appare in una sola immagine, quella che ci restituisce uno scorcio della piazza Cesare Battisti rifatta per il parcheggio interrato, secondo il progetto degli architetti Morelli e Pastore. Quasi un monito sui rischi della «rigenerazione» degli spazi urbani, quando si tratta di centri storici. Una periferia al centro.
di NICOLA SIGNORILE
(pubblicato oggi su “La Gazzetta del Mezzogiorno”)