Il superospedale moltiplica strade e divora il suolo _ Monopoli, protesta di Fai e Italia Nostra
Il nuovo ospedale da costruire a Lamalunga, contrada di Monopoli, non va giù a due delle più importanti associazioni impegnate nella difesa del paesaggio. L’archeologa Raffaella Cassano e l’urbanista Dino Borri hanno firmato rispettivamente per Italia Nostra e per il Fai una lettera aperta al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, per chiedere che sia ripensata la scelta del luogo.
La sezione barese di Italia Nostra aveva già protestato a novembre, senza ottenere risposta. Ora si torna alla carica per denunciare «il grave vulnus che la costruzione del nuovo ospedale arrecherebbe al territorio pugliese alterandone gravemente l’ecosistema in quanto, oltre alla cementificazione di una zona ancora intatta – situata tra due lame e ricadente nel cono visuale della Loggia di Pilato – si dovrebbe anche procedere alla realizzazione di una viabilità di collegamento tra i centri che essa dovrebbe servire (…). Manca infatti uno studio completo e rigoroso delle componenti non solo del territorio prescelto ma di tutto il bacino di riferimento». Italia Nostra e Fai denunciano anche «l’enormità dell’impegno economico (…) dato che la zona è priva di ogni tipo di infrastrutture, assolutamente necessarie per l’impianto e il funzionamento di un grande ospedale quale è quello progettato, con conseguenti alti costi anche, allo stato, imprevedibili».
Gli argomenti delle associazioni chiamano in causa il tema cruciale del consumo di suolo, perché stiamo parlando di un’opera che impegnerà ben 18 ettari di campagna in un territorio, quello monopolitano, che ne ha già consumato il 10,47% (la media italiana è del 7%). Lo studio di fattibilità elaborato dalla Asl Bari e posto a base della gara per la progettazione già metteva questa campagna sul mercato della urbanistica contrattata, con ipotesi di perequazioni e compensazioni per aggirare il fatto che la normativa regionale non ammetta i crediti urbanistici.
Avevamo segnalato il problema-suolo un anno fa, alla scadenza del bando di gara, in questa rubrica: «servirà una variante al Piano regolatore di Monopoli, perché quell’area nel Pug è indicata come zona agricola». Non certo un ostacolo per Asl Bari e assessorato regionale ai Lavori pubblici. Anzi, si legge nei documenti ufficiali, sarà l’occasione per sperimentare la cosiddetta perequazione, «permutando i terreni in esproprio con diritti volumetrici». Intanto per coprire le spese della variante necessaria alla viabilità nel bilancio regionale sono stati stanziati ben 15 milioni di euro, che appaiono pure poca cosa rispetto ai 115 milioni di euro (di cui 80 da fondi Cipe) dell’intera costruzione.
Il progetto architettonico e urbanistico (un «appalto-record», l’ha definito il Sole 24 ore) costerà, da solo, oltre 6 milioni e mezzo di euro. L’incarico è stato aggiudicato ad una associazione temporanea di imprese che riunisce Steam, lo studio barcellonese PineArq, l’architetto Mauro Saito e il geologo Salvatore Valletta. Si tratta di una declinazione del «modello dell’ospedale modello», con il decalogo dettato da Renzo Piano sotto la sorveglianza dell’oncologo Umberto Veronesi, quando era ministro della Salute. L’«ospedale modello» di Renzo Piano non è l’ospedale a padiglioni (in voga nell’Ottocento e nel primo Novecento) e nemmeno il «monoblocco» degli ultimi decenni. Ma del primo e del secondo Renzo Piano prende il buono e scarta difetti: dell’idea ottocentesca recupera «il verde intorno ai padiglioni», del monoblocco apprezza le innovazioni tecnologiche e la flessibilità degli spazi e la razionalità dei collegamenti, ma rifiuta l’esito «disumanizzante» di una macchina chiusa nella sua funzione.
Il modello-Piano ha però tutti i potenziali difetti della «tipologia», per quanto inedita possa essere, e che nascono dalla sua autonomia: cioè l’essere indifferente ai luoghi, al paesaggio, se dobbiamo prestare attenzione alle denunce di Italia Nostra e Fai e nelle quali sentiamo riecheggiare gli ammonimenti dell’ultimo rapporto dell’Ispra, (l’Istituto superiore per la protezione dell’ambiente), sul consumo di suolo in Italia. «Molto importanti saranno i prossimi anni – si legge nella pagine conclusive del rapporto 2015 – nell’ottica dell’applicazione di politiche e di strumenti che contribuiscano al contenimento dei tassi di crescita, soprattutto nelle aree peri-urbane e pianeggianti a elevata vocazione agricola. Una politica di questo tipo comporterebbe degli indiscussi vantaggi per il patrimonio naturale e, allo stesso tempo, la pubblica amministrazione godrebbe di una sostanziale riduzione delle spese imputabili alla dispersione urbana (…). Il governo della crescita sostenibile degli insediamenti umani, il recupero dei centri storici, forme urbane più compatte e semi-dense, il riuso di aree dismesse o già urbanizzate, anche attraverso interventi di rigenerazione e riqualificazione, rappresentano possibili risposte».
di NICOLA SIGNORILE
(pubblicato oggi su “La Gazzetta del Mezzogiorno”)