PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 20_01_2016

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pug capacità edificatorie

Credito edilizio? Non esiste ma… ci credo _ Il nodo del nuovo Piano urbanistico

«I crediti urbanistici in Puglia non sono applicabili dal 2006, quando è stata abrogata la legge regionale 24/2004». L’assessore all’Urbanistica del Comune di Bari Carla Tedesco risponde così alle domande rivolte – da prospettive opposte – in questa rubrica e in un intervento del docente universitario Federico Pirro, su queste pagine.

È una affermazione che potrebbe fare piazza pulita dei timori (o, da un altro punto di vista, delle speranze) che gli oltre 15 milioni di metri cubi di edilizia, residuo delle gigantesche previsioni del piano regolatore di Quaroni  tuttora vigente – possano sopravvivere nel nuovo piano urbanistico, in fase di elaborazione.

Usiamo il condizionale perché – se da una parte l’affermazione perentoria smentisce le sicurezze di Pirro sulla legittimità dei diritti acquisti dai proprietari dei suoli, d’altra parte lascia aperta un’uscita di emergenza, per quei volumi promessi e non ancora realizzati, attraverso la cosiddetta «perequazione».

Lo strumento è insidioso: l’equa distribuzione di una medesima capacità edificatoria a tutti i suoli è mitologia in città compromesse da antiche pianificazioni e infatti il termine viene, oggi, declinato in diversi modi e talvolta confusa con la «compensazione». Per l’assessore Tedesco «la perequazione è finalizzata ad agevolare l’attuazione delle scelte progettuali della pubblica amministrazione, evitando che la città privata si sviluppi senza adeguata dotazione di infrastrutture, servizi pubblici, spazi aperti e residenza sociale. È uno strumento, dunque, che, se ancorato a un progetto di città (assente nei “volatili” crediti urbanistici), consente di elevare la qualità delle trasformazioni urbane a vantaggio di cittadini e imprese».

Vogliamo credere alle parole della professoressa Tedesco e ci facciamo allora un’altra domanda: è coerente questa idea di «perequazione» con i materiali per il Pug che il gruppo dei progettisti guidato dallo scomparso Gabrielli ha consegnato al Comune alla fine del 2013? A noi sembra di no, e comunque la «perequazione» si applicherebbe (ammesso che fosse possibile) a tutti i 15 milioni di metri cubi residui del Piano Quaroni? O solo ad una parte di essi?

Su questo non c’è ancora sufficiente chiarezza, tuttavia «la quantità di volumi da edificare – afferma Carla Tedesco replicando a Federico Pirro – non è criterio utile neppure a offrire alle imprese condizioni favorevoli di insediamento e sviluppo. Nell’attuale congiuntura socioeconomica e culturale è venuta del tutto meno l’identificazione tra sviluppo urbano e sviluppo insediativo».

La Regione Toscana, con la legge urbanistica approvata nel 2014, ha stabilito un principio: le aree agricole sono escluse da ogni forma di edificazione se prima non sono utilizzati tutti gli edifici già esistenti. Proviamo a immaginare l’applicazione di questo principio (o, se volete, «divieto») a Bari, città che conta oggi (dati Istat) ben 18mila alloggi non occupati, 9mila dei quali sfitti sul mercato. E proviamo a figurarci cosa significano in concreto 15 milioni di metri cubi. Ci viene in aiuto l’architetto Gerardo Manca, con pochi, veloci calcoli: si tratta di 50mila appartamenti da 100 metri quadri. Per esempio, cinquemila palazzi alti cinque piani, con due alloggi per piano. Proviamo a metterli in fila, su una strada: questa sarebbe lunga 100 kilometri,  praticamente i palazzi andrebbero da Poggiofranco fino a Taranto (ammesso che qualcuno voglia acquistare una casa sotto le ciminiere dell’Ilva).

Impressionante, l’espansione edilizia, vero?

Il probema non è solo ecologico, ma anche economico. «Sospendere le espansioni urbane porterebbe un consistente riequilibrio nei bilanci pubblici», scrive Paolo Berdini nel recente volume «Le città fallite» (Donzelli ed., pp. 160, euro 19.50). «Si spendono infatti – spiega l’urbanista romano – ingenti risorse per inseguire e raggiungere tutti i frammenti delle espansioni urbane nati recentemente. A carico della collettività resta il pesante compito di realizzare le strade e le infrastrutture energetiche, di garantire i servizi pubblici, i trasporti e la quotidiana gestione dei quartieri. Questi oneri sono ormai insostenibili poiché la crisi economica ha ridotto la capacità di spesa delle amministrazioni». E c’è anche, infine, un problema di civiltà: «I cittadini – nota ancora Berdini – hanno il diritto, come in ogni altro Paese europeo, di vivere in modo civile e  non essere costretti a passare molte ore al giorno in spostamenti in automobile».

di NICOLA SIGNORILE

(pubblicato oggi su “La Gazzetta del Mezzogiorno”)

 

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