Quale democrazia?

La libertà che guida il popolo | Eugène Delacroix | 1830

< Il mio augurio a tutti voi, a ciascuno di voi, è che abbiate un motivo per indignarvi. E’ fondamentale. Quando qualcosa ci indigna come a me ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati >.

Così scriveva Stéphan Hessel (partigiano, diplomatico, e redattore, tra gli altri, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) in un suo preziosissimo pamphlet che dovrebbe far parte dell’educazione-base di ogni cittadino, da leggere nelle scuole con tutta la forza vitale e l’effervescenza mentale che ciascuna pagina trasuda.

Nel libro, in Italia edito come Indignatevi! (64 pagine, addEditore, 2011), Hessel sottolinea la portata del concetto hegeliano di storia: < […] è la libertà dell’uomo che, tappa dopo tappa, progredisce. La storia si compone di scontri successivi, è la risposta a una serie di sfide. La storia della società progredisce e alla fine, quando l’uomo ha raggiunto la libertà totale, si ha lo Stato democratico nella sua forma ideale. >

La parola “libertà” risuona spesso nei discorsi di semplici cittadini  e in particolare abbonda nelle comunicazioni mediatiche dei politici. Ma, come sappiamo, la retorica è un’arte, l’arte di parlare bene e in maniera efficace. Non tutti la posseggono e, problema ben più grave e diffuso, molti travisano (inconsapevolmente o meno) il significato delle parole.

Un caso del genere è sicuramente quello che vede coinvolta la politica Giorgia Meloni (già presidente e capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia), che a ridosso degli attentati di Parigi pubblica un video sul suo blog commentando così: < la verità è che il fondamentalismo odia la nostra civiltà, odia la nostra libertà; e per difendere quella libertà e quella civiltà oggi l’Europa è chiamata a una guerra >.

Tralasciamo i contenuti, perché sono relativi a una politica di chiusura, ignoranza e violenza, che approfitta della disperazione dei deboli per produrre rabbia e odio verso quelli ancora più deboli.

Piuttosto lascia sconcertati il riferimento a una libertà minacciata, che lei stessa ha ripetutamente affossato dichiarandosi contraria all’aborto, o firmando nel febbraio 2009  il decreto legge per impedire la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione dei pazienti (tentativo estremo di ostacolare le decisioni prese dalla famiglia Englaro), o censurando ogni confronto sul tema dell’antifascismo, esprimendo invece il suo < rapporto sereno con il fascismo >, o ancora giustificando e appoggiando l’operato (comprese le leggi ad personam) di Berlusconi.

La stessa persona, invitata a Bari ad un incontro promosso da Azione universitaria presso la Facoltà di Giurisprudenza con il governatore della regione Puglia Michele Emiliano e il giornalista Lino Patruno come moderatore, è stata contestata da un gruppo di studenti.

La contestazione è partita da uno striscione che recitava “Il Sud riparte dalla conoscenza: nessuno spazio per fascismo e sfruttamento”, prontamente requisito. I toni si sono accesi, gli studenti hanno inveito contro chi tentava di allontanarli dall’aula, mentre la Meloni, con la sua voce monocorde ripeteva < state nel vostro tempo, sono passati 70 anni, sveglia! >.

Non mi soffermerò sulle ragioni politiche dei contestatori (che ad ogni modo condivido), bensì su quello che significa questo episodio e sulle percezioni che ho raccolto in queste ore da amici e conoscenti. Rabbrividisco, innanzitutto, al pensiero che faccia più scalpore una contestazione (non violenta) piuttosto che le parole della Meloni, grondanti ignoranza: come può, un rappresentante del popolo, nel 2015, avere il diritto di affermare che il fascismo sia un problema passato, una cosa vecchia, che non va nominata. D’altra parte l’Italia è uno dei paesi, tra quelli che nel ‘900 sono stati protagonisti delle vicende totalitariste europee, meno sensibili, oggi, a questi temi. E’ molto debole il valore dell’antifascismo, sbiadito il ricordo degli attori e dei luoghi che hanno permesso la nostra libertà, tentennante il contrasto a nuove forme di fascismo. Quello italiano, è, nella media, un popolo poco orgoglioso della propria storia, della propria civiltà, della propria democrazia.

Quasi ogni giorno, nelle città della Germania (che viene spesso additata come unica responsabile degli eccidi nazi-fascisti) uomini, donne, lavoratori, professionisti, studenti, bambini scendono in strada a manifestare in favore delle politiche di integrazione, della pace, della coesione sociale e a contro-manifestare in occasione di cortei della estrema destra. Certo, non è l’intera cittadinanza a partecipare, ma i numeri e la frequenza sono impressionanti per noi che siamo abituati a poche decine di contestatori e qualche grande manifestazione che finisce sempre in tafferugli.

Tornando dunque alla Meloni, essa ha lasciato che gli studenti venissero malamente allontanati, evitando il confronto (in un comunicato del gruppo studentesco La rete della conoscenza_Link vengono spiegate punto per punto le ragioni del dissenso, dimostrando di essere informati e preparati sull’argomento di cui si sarebbe parlato durante il convegno) e sminuendo le intenzioni della contestazione, riportandola a una visione passatista, anacronistica.

Quello che preoccupa non è lei, nè la sua reazione. Non davvero. La posizione presa dal governatore Emiliano (in maniera marginale, visto che il personaggio è noto) e i commenti che circolano tra le mie conoscenze, quelli sì, che preoccupano.

Emiliano si è scusato a nome di tutti i Pugliesi per quanto accaduto, come una mamma che riceve ospiti a casa e si scusa per il figlio che fa le linguacce. E’ un grave porsi a distanza da chi ha manifestato il proprio dissenso nell’università, che dovrebbe appunto essere il luogo del fervore intellettuale, dei confronti anche accesi, perché frutto dell’entusiasmo di chi studia e si appassiona. E’ uno scusarsi, il suo, che equivale ad ammettere un errore, da parte degli studenti, di cui vergognarsi.

Dichiarazioni simili, provenienti poi da un esponente di centro sinistra che si giustifica con l’intento di cercare l’appoggio di forze politiche la cui rappresentante è la Meloni, andrebbero duramente commentate. E’ da tempo che tentano di convincerci che solo con il compromesso politico è possibile attuare trasformazioni, promuovere leggi, portare il cambiamento.

Eppure, direte, siamo abituati a una politica di questo genere, qual è la novità? Innanzitutto il disgusto per la politica, la nausea di vedere sempre gli stessi meccanismi e nulla che migliora non deve, non può portare alla rassegnazione, perché solo il popolo, con il suo potere, può influire e decidere del futuro del proprio Paese. Come lo è stato nei più importanti passaggi storici della civiltà umana. Questa è la democrazia.

Ed è proprio in una presunta difesa della democrazia che la contestazione a Giurisprudenza è stata denigrata dall’opinione pubblica.

Partiamo da questa grande, quanto bistrattata parola: democrazia. In un periodo come questo, in cui sia a livello nazionale che internazionale, la rappresentanza del popolo è messa alla prova ogni giorno sempre di più, diventa difficile parlarne così a cuor leggero ed etichettare estemporaneamente una manifestazione del pensiero, come quella dell’altro giorno, anti-democratica. E’ stato detto giustamente che < il voto, da solo, non basta >; ed è stato Norberto Bobbio a scandire il concetto di democrazia in due punti: a) tutti devono poter partecipare, direttamente o indirettamente, alle decisioni collettive; b) le decisioni collettive devono essere prese a maggioranza.

Sulla base di questi riferimenti teorici, ci aspettiamo condivisibili, risulta difficile, con la politica degli ultimi 20 anni, ritenere salvaguardate le nostre espressioni democratiche. E non si tratta solo di legge elettorale, scelte politiche e governo. Questo vento scuro e sporco tocca ogni sfera della vita del singolo cittadino: dalla scuola all’università, dalla sanità al lavoro, dall’ambiente al commercio, dai luoghi della conoscenza a quelli dello svago.

Nel discorso tenuto presso la Camera dei deputati a marzo del 2015, Gustavo Zagrebelsky interviene in modo determinante sulla questione: < Bobbio parla delle condizioni della democrazia, ma le possibilità non bastano se non ci sono forze che sappiano che farsi della democrazia, che traggano la democrazia dal regno delle possibilità al regno della realtà. Se queste forze mancano, le forme, da sole, non sono capaci di suscitarle e la democrazia è destinata a essere solo il titolo d’un capitolo nei libri di diritto costituzionale. Del resto, che la forma non sia sufficiente, che essa sia destinata a diventare un guscio vuoto e a risultare una formula mendace, occultatrice di realtà non o anti- democratiche, alla fine ripudiata dai cittadini, è Bobbio stesso a riconoscerlo […] >.

Ed è questo il punto: definire una pagliacciata una contestazione politica significa che non siamo più abituati a difendere la nostra democrazia, che aspettiamo che qualcun altro, per noi, la difenda, mentre nella realtà succede esattamente il contrario, visto che il popolo ha mollato lo strumento di controllo sui rappresentanti politici, in una sorta di catalessi di coscienza. D’altra parte gli stessi parlamentari del Movimento 5 stelle sono stati tacciati di essere immaturi ed esibizionisti, ogni qualvolta hanno usato mezzi eclatanti di manifestazione di dissenso, nonostante le loro ragioni fossero nobili e condivisibili. Le  loro erano reazioni dovute al clima repressivo  che ci opprime, come è sempre successo nella storia dell’uomo. La lotta, a volte anche armata, è stata fondamentale per cambiamenti importanti: di certo non possiamo dire che il popolo parigino abbia sbagliato, quando, in rivolta, si oppose all’oppressione di Carlo X (evento storico rappresentato nel famoso dipinto di Delacroix). E anche quando l’insorgere del popolo non ha portato alla libertà, alla conquista dei diritti, è comunque stata un’affermazione della sovranità, della civiltà umana, della necessità di vivere in modo degno.

< Non sempre basta difendersi, qualche volta bisogna attaccare per andare avanti > dice l’attivista per i diritti dei gay e delle lesbiche Mark Ashton, nel film Pride di Matthew Warchus. Questo entusiasmo nel difendere i diritti dell’uomo sembra ormai lontano nel tempo, ma suona ancora più triste se a sentirlo lontano, tanto da deprecarlo, sono trentenni, di orientamento di sinistra e centro-sinistra.

Definire “comunisti del terzo millennio”, “ridicoli” gli studenti che hanno manifestato è, allo stesso modo, un errore madornale. E’ ridicolo pensare, piuttosto, che la difesa di principi costituzionali e valori repubblicani attraverso una pubblica rimostranza, sia fuori luogo e da sprovveduti. Nell’era delle parole forti dietro uno schermo, è sempre più difficile accettare chi fisicamente espone le proprie idee.

Qualcuno si è chiesto quale fosse la differenza tra un atto di confronto e uno di disturbo. Avere la convinzione che le contestazioni abbiano sempre il loro incipit in richieste di confronto pacifiche ed equilibrate è da ingenui: le ingiustizie provocano necessariamente degli atti di contestazione esplosivi, di disturbo, che possono o meno concludersi con un’apertura al dialogo.

Quando la democrazia vacilla e sono proprio i rappresentanti del popolo a farla vacillare, può essere necessaria un’incursione improvvisa nell’ordine delle cose. Che non vuol dire concedere l’anarchia, ma più che altro fare un po’ di posto e spianare la strada per l’elegante, nobile democrazia.

E poi, come diceva Italo Calvino < quello che voi chiamate ordine è uno sfilacciato rattoppo della disgregazione >.

ROBERTA SIGNORILE

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