PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 12_08_2015

La città del futuro ritrova l’asse con Taranto ma rinnega i poli _ Una modesta proposta: giù il Margherita.

«Giù teatro Margherita e mercato del pesce! Vogliamo rivedere il mare!». Una «modesta proposta», direbbe Yanis Varoufakis parafrasando il titolo del paradossale pamphlet di Jonathan Swift, è quella di un lettore, David Roberto Consiglio, che ci scrive: «Bari, città di mare, è priva di una grande piazza sul mare. Fatta questa constatazione, lancio una provocazione: abbattiamo l’ex mercato del pesce di piazza del Ferrarese e il teatro Margherita e regaliamo alla città una vera e grande piazza affacciata direttamente sul mare. In questo modo, oltre a cambiare radicalmente una delle zone più belle di Bari, anche la saracinesca sul mare rappresentata dal Margherita verrebbe meno, regalando, finalmente, il mare ai baresi e ai suoi visitatori».

Il nostro lettore è consapevole che «in tanti criticheranno questa  proposta, grideranno alla lesa maestà, ma, nonostante tutto, personalmente ritengo che una classe dirigente è tale anche e soprattutto se dimostra di essere capace di infrangere tabù e luoghi comuni che, di fatto, ostacolano il progresso».

Il signor Consiglio, forse senza saperlo, riporta indietro il calendario di mezzo secolo. È del 1961 il concorso internazionale di idee per piazza del Ferrarese. Vincitori della competizione furono gli architetti Vittorio Chaia e Massimo Napolitano che immaginarono una piazza sopraelevata e affacciata sul porto vecchio. Al secondo posto si piazzò l’architetto Onofrio Mangini. Sia i primi che il secondo proponevano la demolizione del teatro Margherita, tappo della visuale marina  del corso Vittorio Emanuele. D’altra parte, era quanto  previsto dal piano regolatore vigente, che portava il sigillo di Piacentini e Calza Bini.

Quando  nel 1965 Ludovico Quaroni  sbarcò a Bari per «aggiornare» quel piano, provò a mantenere in vita la strategia modernista e demolitoria, però dovette arrendersi. «Si prevedeva – ricordava con amarezza il professore – l’abbattimento del Margherita e una sistemazione di tutto il corso Vittorio Emanuele che doveva affacciarsi sul mare su più livelli. Ma queste due ultime idee non piacevano alla Soprintendenza».

È singolare – mentre si sta elaborando il nuovo piano urbanistico – il riaffiorare oggi di temi e visioni urbane che erano proprie della azione di Quaroni. Anche negli indirizzi che la giunta Decaro ha appena dato al gruppo di Bruno Gabrielli se ne ascolta l’eco. Pensiamo ad esempio alla dimensione metropolitana e dunque di «area vasta» che dovrà avere il prossimo Pug; pensiamo all’asse Bari-Taranto per il quale si richiede un coordinamento con il piano urbanistico che i progettisti diretti da Dino Borri stanno elaborando per la città jonica.

Ricordiamo che ancora una decina d’anni fa l’asse Bari-Taranto tornava ad essere l’anima di riflessioni approfondite, come quella condotta dall’architetto Domenico Alessandro De Rossi, consegnate in un volume intitolato «Sistema dei trasporti e svilupppo metropolitano», edito da Adda. Con l’idea della «Linea sensibile» De Rossi cercava di risarcire una della tante sconfitte di Quaroni, quella dell’aeroporto internazionale che inizialmente avrebbe dovuto nascere non a Palese ma a Gioia del Colle, cioè a metà strada tra l’Adriatico e lo Jonio.

Tuttavia non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: gli indirizzi di giunta definiti dall’assessore Carla Tedesco non sono un tuffo nel passato, semmai un passo avanti un po’ più lungo rispetto a quel poco o molto che si sa delle bozze del Pug consegnate al Comune. La cultura urbanistica che sottende gli indirizzi contenuti nella delibera 565 del 6 agosto scorso prende atto del definitivo superamento della politica industriale fondata sui poli produttivi (Bari, Taranto, Brindisi), espressione del riformismo anni Sessanta (e fondamenta del piano Quaroni) ed osserva invece l’emergere «nei circuiti nazionali e internazionali, di quei territori che – scrive Tedesco nella delibera – , proprio in quanto marginali rispetto alle politiche di industrializzazione (…), hanno potuto più agevolmente attivare risorse territoriali da porre alla base di nuovi percorsi  di sviluppo basati sulla valorizzazione di paesaggi, culture, patrimoni storici e ambientali».

Il riferimento concreto, è per quel  che ci riguarda, all’area della Valle d’Itria, che si installa appunto sull’asse tarantino, e all’area murgiana, posta sulla direttrice per Matera. È in questo senso, dunque che va letta la spinta a rivedere le bozze del Piano urbanistico in chiave metropolitana. E abbiamo il presentimento che non si tratti soltanto di ingrandire le mappe e di allungare i tracciati delle infrastrutture e dei sistemi trasportistici. Altrimenti si torna a parlare la lingua del passato.

 

NICOLA SIGNORILE

(pubblicato mercoledì 12 | 08 | 2015 su La Gazzetta del Mezzogiorno)

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