
Con le dolci bugie del passato ritorna il Kursaal _ Portoghesi, post e neo-liberty
Con il Kursaal Santalucia si chiude il poker del «Miglio dei Teatri» che riunisce anche il Petruzzelli, il Piccinni e il Margherita. Quattro luoghi di spettacolo dal vivo nel raggio di poche centinaia di metri. Il protocollo di intesa sottoscritto tra Comune di Bari e Regione Puglia la settimana scorsa promette di liberare la sala di largo Adua dall’incantesimo che l’aveva imprigionata in un groviglio giudiziario, tra liti di condominio, fallimenti, aste e provvedimenti amministrativi, fino alla chiusura, quattro anni fa, e infine all’acquisto da parte della Regione.
Strana vicenda, quella del Kursaal, rinato poco prima che le fiamme divorassero il Politeama, ospitando le riprese di un «Mahabharata» di Peter Brook firmato Petruzzelli. Destini incrociati. Come quelli che legano il Kursaal Santalucia al Margherita nella futura progettazione architettonica e gestionale. E non si capisce perché mentre per il Kursaal si crea un gruppo di tecnici ed esperti per fornire linee guida agli architetti e agli ingegneri, per il Margherita prima si fa il progetto e poi si penserà alla gestione.
Ma sembra proprio che a Bari la vita dei teatri debba essere scandita dall’incertezza. Anche la nascita del Kursaal Santalucia, fra il 1925 e il ‘27, è avvolta dal caso e forse dall’inganno. Quando l’ingegner Orazio Santalucia presenta al Comune il progetto per l’ampio complesso edilizio che si affaccia su largo Adua sono previsti solo negozi e appartamenti. Poi, a cantiere avviato, la commissione edilizia si vede recapitare una variante di progetto, con il teatro e la sala delle feste. La nuova funzione impone anche che venga ridisegnata la facciata principale con le ampie finestrature e le decorazioni floreali che vediamo ancora oggi. Con ogni probabilità l’intenzione di realizzare il teatro era chiara sin dall’inizio, ma fu occultata per evitare la rappresaglia dei potenti proprietari del Petruzzelli.
Il Kursaal, che nel nome richiama i locali di ritrovo delle stazioni termali del nord Europa fra Otto e Novecento, si inaugura a novembre del 1927 con l’operetta «Katia, la ballerina» del musicista tedesco Max Winterfeld che per lavorare (con successo) si spaccia per francese sotto la falsa identità di Jean Gilbert.
È tutto un gioco di finzioni, compreso il restauro affidato a Paolo Portoghesi che nel 1989 aggiunge un po’ di neo-liberty al tardo-liberty delle origini. Generalmente considerato uno degli esempi più chiari del presunto liberty barese, il Kursaal è semmai la prova di come il gusto architettonico della città sia tardivo, se non postumo: ci sono ben 25 anni a separare il Kursaal barese dal palazzo Castiglioni di Sommaruga a Milano o villa Scott di Fenoglio a Torino, mentre nello stesso anno del debutto barese di «Katia» il modernista Walter Gropius progetta per Erwin Piscatror il supertecnologico Totaltheater.
Paolo Portoghesi, comunque, riporta il Kursaal Santalucia alla originaria divisione fra teatro e sala Giuseppina (che nel ‘55 era stata trasformata dall’ingegner Francesco Santalucia in seconda galleria, per portare a mille posti la capienza del cinema). Realizza il roof garden con la copertura vetrata ad ottagoni similmente ad un altro suo progetto, appena realizzato: il salone termale dello stabilimento «Il Tettuccio» a Montecatini Terme (1987-89). È qui che prende forma l’idea della «foresta pietrificata» di orgine gotica ma declinata nelle forme fluenti ottenute con il legno lamellare. La somiglianza di questo lavoro toscano con l’intervento barese è addirittura sfacciato nell’arredamento del caffé Miles, al piano terra del Kursaal. Con la differenza che mentre a Montecatini hanno una funzione strutturale, qui i tronchi ramificati avvolgono i pilastri originari raccontando l’analogia albero/colonna, un archetipo dell’architettura così come ce lo ha raccontato Vitruvio.
Dunque, una citazione letteraria più che arredamento funzionale: d’altra parte rimane questa la cifra e il limite del Postmoderno, corrente dilagante in quegli anni Ottanta italiani, di cui Portoghesi è stato uno dei principali esponenti. Non a caso ben accolto e anzi festeggiato dai baresi, ignari di trovarsi di fronte ad una replica ma ben felici di essere accompagnati nel tuffo in un improbabile dolce passato. E comunque salvi dal rischio di dover fare i conti con la contemporaneità, Con quel «presente» che solo esiste davvero, come ripete a se stessa la regina Sathyavati nel «Mahabharata» di Peter Brook.
(pubblicato mercoledì 08|04|2015 su La Gazzetta del Mezzogiorno)