PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 16_04_2014

castello_svevo_bari2Timidi e arroganti tra il porto nuovo e la città vecchia _ La protesta contro il cantiere

Le firme raccolte sono già 500. E saranno almeno mille a fine mese, per la consegna. Mille firme di protesta contro il nuovo cantiere nel porto, contro gli uffici dello Stato che toglieranno spazio, luce e verde a Bari vecchia.

Ieri si è riunito il comitato di quartiere ed è stato deciso di coinvolgere le associazioni ambientaliste e del paesaggio e in particolare il comitato popolare Fronte del Porto che si oppone al completamento della colmata di Marisabella. A cementare le proteste, da Bari vecchia a San Cataldo, è infatti l’inossidabile autonomia che distingue il porto nelle sue relazioni urbanistiche con la città.

Questa volta è l’ampliamento di un edificio, sede degli uffici del Provveditorato alle Opere marittime di Puglia e Basilicata. Annunciato burocraticamente come «manutenzione straordinaria», l’edificio da costruire sarà alto una dozzina di metri: tre piani fuori terra ed uno interrato. Costo dell’opera pubblica: 3 milioni e 345mila euro. Non ci sarebbe molto da discutere, se non fosse che nel cantiere già si abbattono gli alberi  e proprio di fronte al cantiere si staglia la mole del castello normanno-svevo e poi la palazzata dell’antico porto angioino e il convento di Santa Chiara e quello di San Francesco.

Basta questo rapido elenco per capire che stiamo parlando di un luogo speciale, di un luogo fragile e importante denso di storia e di architettura. E infatti ne erano largamente consapevoli i progettisti del Piano particolareggiato di Bari vecchia approvato alla unanimità dal Consiglio comunale nel 2000. Un piano particolareggiato è uno strumento attuativo del piano regolatore e quindi ha forza di legge. E perciò appare grave l’ampliamento degli uffici delle Opere marittime, in contrasto aperto con il piano che prevedeva e prevede tutt’altro destino per questa area. Leggiamo nella «Relazione generale» al piano che «l’insieme delle aree verdi attorno al Castello può essere pensato, in prospettiva, come un vero e proprio “sistema” di verde attrezzato. Per realizzare tale sistema, ricucendo aree oggi separate da arterie viarie… è necessario però pensare allo spostamento d’un tratto del lungomare De Tullio utilizzando i suoli demaniali del Porto. Se tale spostamento fosse possibile si potrebbe pensare ad una vasta area verde e pedonale costituita dal verde attualmente di pertinenza del Demanio marittimo, dallo slargo di piazza Ruggero il Normanno, dai giardini Isabella d’Aragona e dai fossati del Castello».
Ma nessuno si è accorto della violazione del piano particolareggiato? Sulle prime, l’assessore comunale all’urbanistica Elio Sannicandro ha detto che il  Comune non era stato messo al corrente dei lavori al porto. Poi ha dovuto con amarezza scoprire che invece l’ufficio tecnico comunale non solo sapeva, ma aveva anche approvato il progetto in una conferenza dei servizi, nel 2010. «Nulla da eccepire sul piano tecnico»: così si sono giustificati i funzionari con l’assessore che invece – sul piano politico – avrebbe voluto dire qualcosa, se solo fosse stato informato.

Che insegnamento si ricava allora da questa vicenda? Più d’uno.
Primo, che le «conferenze dei servizi» sono spesso una trappola: lì si prendono decisioni rapide, ma talvolta anche azzardate, oppure ci si lava la coscienza con una utile assenza.
Secondo, che il piano particolareggiato di Bari vecchia dovrebbe essere difeso e applicato con convinzione e coraggio dal Comune non solo nei confronti dei singoli privati, ma anche e soprattutto nei rapporti con le altre amministrazioni pubbliche. E purtroppo dobbiamo ricordare che questo attuale non è il primo incidente «diplomatico»: già è successo con il museo archeologico a Santa Scolastica che la Provincia ignorasse il «piano» e che il Comune lasciasse fare.
Terzo, che il porto è un corpo non solo estraneo alla città, ma addirittura antagonista alla sua vita e al suo sviluppo. La formazione del nuovo piano regolatore, il Pug, avrebbe dovuto essere l’occasione per riequilibrare i rapporti e abbattere fisicamente la barriera che separa il mare dai cittadini. Ma come abbiamo avuto modo di ascoltare il 13 febbraio scorso al convegno del Politecnico su  «Waterfront come strategia di rigenerazione», ospite il professor Rosario Pavia, i progettisti del Pug hanno gettato la spugna e si sono arresi alla ineluttabilità del completamento della colmata di Marisabella.
Inutile ma indispensabile.

 

NICOLA SIGNORILE

(pubblicato oggi su La Gazzetta del Mezzogiorno)

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