Paesaggio e popolo

foto Roberta Signorile

C’è qualcosa, riguardo il paesaggio, di cui ancora non si parla. O meglio, se ne parla in maniera teorica. E come sappiamo la traduzione della teoria nella pratica non è tra le più fluide in paesi come l’Italia. Il popolo: è di questo (sconosciuto) che non si parla. Certo, studiosi e professori hanno in passato e soprattutto di recente messo in relazione i cittadini e il patrimonio paesaggistico, ma ancora è blanda l’analisi e indulgente il giudizio su questo rapporto. Un rapporto, tra l’altro, che è legittimato dalla Costituzione, nell’articolo 9 che dice “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”; per conseguenza logica, la Costituzione è strumento primario democratico (dal greco “demos”, cioè del popolo), quindi se essa tutela il paesaggio, per proprietà transitiva il popolo tutela il paesaggio.

Andando a ritroso nel tempo, torna utile a chiarire l’argomento ricordare come, nel 1459 circa, a Pienza (proprio in Italia), l’allora papa Pio II pianificasse una ristrutturazione ingente del borgo, chiamando l’architetto fiorentino Bernardo Rossellino. Dice Peter Murray a tal proposito: “sembra che Pio II sia stato il primo uomo moderno a spendere denaro per costruire un palazzo da cui si potesse contemplare il paesaggio” [in “L’architettura del Rinascimento italiano, di P. Murray, ed. Laterza, p.85]. Certamente la sensibilità che qui si rivela è nello stesso tempo un esempio di fruizione del paesaggio da parte di un privato, che mette a disposizione i suoi soldi per affermare il suo prestigio e godere privatamente di un bene che dovrebbe poter essere pubblico.

Dal ‘500 a oggi di passi in avanti ne sono stati fatti, in particolare è forse una delle maggiori conquiste della civiltà quella del concetto di bene pubblico, del suo indiscusso rapporto con i cittadini e della sua tutela garantita da una legge. Con la Legge n. 1497 del 1939 si era sancita la possibilità di una dichiarazione di interesse pubblico per ambiti territoriali identificati come meritevoli per qualità paesaggistica: la parola “pubblico” non è casuale, in quanto pone l’attenzione sul fatto che la qualità del paesaggio riguarda l’interesse di tutti, di ogni cittadino italiano, che si riconosce in questo paesaggio (tutelato dallo Stato) e lo sente “suo”, come di ogni altro suo simile. E poi nel 1985, con la Legge Galasso (n. 431), dove per chiarire il concetto viene stabilito che la tutela debba essere ancora più serrata, grazie anche al Piano Territoriale Paesistico, compito delle Regioni. Fino ad arrivare al Codice dei Beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n.42 del 2004) il quale, sempre riferendosi ai principi e alle norme costituzionali, rivede i rapporti tra Stato e Regioni nella gestione del paesaggio: le autorizzazioni paesaggistiche sono rilasciate da Regioni ed enti subdelegati e le Soprintendenze formulano parere vincolante; mentre i Piani Paesaggistici sono redatti dalle Regioni congiuntamente con il Ministero BAC.

Questo ripercorrere la normativa non è, come ormai è consuetudine pensare, un modo cavilloso e da azzeccagarbugli di affrontare l’argomento. Piuttosto è un modo fondamentale e necessario per capire di cosa si parla quando si pronuncia, spesso con superficialità, la parola “paesaggio”. Non un termine per fare facile filosofia, nè un termine destinato solo alle classi abbienti (che in Italia sono in forte disequilibrio rispetto al resto della popolazione: “Secondo uno studio di Bankitalia la somma di case, soldi cash nei conto correnti e soldi investiti in titoli e azioni assommerebbe alla cifra di 9mila miliardi di euro, quasi cinque volte il debito pubblico italiano, [che] è di tutti mentre la ricchezza privata è di pochi. Il 10 per cento degli italiani, infatti, possiede il 50 per cento di tutta la ricchezza privata del Paese”; da Presa diretta, puntata del 2 Settembre 2013). Ma un bene complesso per qualità e aspetti che dovrebbe appartenere orgogliosamente a ogni Italiano, e non essere un’occasione retorica quando si vuol fare i nazionalisti, i patriottici. Questo è il problema. L’Italiano medio è bravo solo a vantarsi del proprio mare, delle proprie campagne, dei propri tramonti sugli Appennini, mentre gira la testa quando le industrie inquinano senza freni (e non perchè non ci sia altro modo), mentre chiude gli occhi davanti al quotidiano trattamento da discarica delle strade. Le stesse strade dove poi cammina. L’Italiano medio è quello che per soldi, per avarizia, per ignoranza, vende la sua terra a mafiosi o a beceri commercianti che ritagliano pezzi di paesaggio per ricostruirli a centinaia di chilometri. L’Italiano e basta, anche quello acculturato, è quello che con un reclinare del capo e un’espressione da sofferenza, ti dice “sono altri i problemi” se parli della raccolta differenziata che ancora non funziona (l’Italia è stata multata dall’Unione Europea per 25 milioni di euro per la gestione rifiuti), se dici che le tue scelte, anche quelle quotidiane sono dettate dall’attenzione all’ambiente, se parli delle associazioni come Italia Nostra, WWF, Legambiente, Salviamoilpaesaggio e delle loro iniziative. E’ di questo, che si dovrebbe parlare. Del fatto che a nessuno più (siamo pochi, denigrati e relegati, quelli che difendono il paesaggio) interessa questo: a nessuno interessa cosa è patrimonio di tutti e quali sono le regole che lo tutelano. Carlo Petrini, il 13 Settembre 2013, su Eddyburg, fa un cenno di questo popolo che si sta perdendo, perdendo il meglio di se stesso.

Dov’è finito il rispetto per la propria terra, quello auspicato dal troppo poco ascoltato Cederna, che parla di “vandali in casa”? “Vandalo è chi distrugge l’antico perché la città assuma una fisionomia più consona a interessi privati e non pubblici, perché il suo territorio venga spremuto al pari di una risorsa dalla quale ricavare quanto più reddito possibile”. E la sensibilità per la natura, per ogni elemento naturale da cui noi dipendiamo? Schiacciata dall’accezione dispregiativa “ecologista/ambientalista”? Dalla convinzione che il paesaggio non fa girare l’economia, mentre colate di cemento e case fatte passare come necessarie sì? Dalla povertà e dalla sempre più scarsa cultura di base che sottraggono ogni remora alla gente? Questo non è un modo degno di essere cittadino.

ROBERTA SIGNORILE

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