PIAZZA GRANDE di Nicola Signorile | 12_12_2012

In via Dante, Puttyah, immigrato dalle isole Mauritius (foto ULIANO LUCAS)
In via Dante, Puttyah, immigrato dalle isole Mauritius (foto ULIANO LUCAS)

Da Libertà a Murat. La città di Omar e quella di Paperino _ Inchiesta pubblica sul vincolo

Vista dal quartiere Libertà, è tutta un’altra faccenda. E anche il quartiere Murattiano fa tutt’altra figura. Il Libertà è la cattiva coscienza del borgo nuovo. Cresciuto come una moltiplicazione del Murattiano con il suo regime di lottizzazione per isolati allineati e ortogonali, il Libertà è l’immagine di quel che il Murattiano avrebbe potuto essere se la rendita fondiaria e il credito bancario non l’avessero trasformato in un gonfio centro direzionale con molti uffici e tanti negozi, scarsi artigiani e pochi residenti.

Lunedì scorso Francesca Pace, dirigente del servizio Assetto del Territorio della Regione Puglia, ha avviato la procedura di «inchiesta pubblica» sulla proposta di vincolo paesaggistico per i quartieri Murat, Libertà, Madonnella, oltre che Bari Vecchia. Il primo atto è la riunione del comitato regionale, convocata per il prossimo 19 dicembre, che dovrà prendere atto delle osservazioni e nominare un esperto alla guida della fase successiva. C’è già una rosa di nomi e di certo non sarà un barese. Mai come in questo caso – spiega l’assessore Angela Barbanente – ci vuole un occhio esterno, che veda le cose freddamente. E che non sia condizionato – aggiungiamo noi – dai pregiudizi e dalle retoriche.

Nel dibattito che si è sviluppato in queste ultime settimane, il Murattiano ha preso inevitabilmente la scena, Ma è forse nel quartiere Libertà che si gioca la partita decisiva. Lì le demolizioni e le ricostruzioni possono costituire un mercato importante che un vincolo generalizzato – protestano gli imprenditori edili – potrebbe comprimere se non proprio ingessare. E in effetti – riguardo al quartiere Libertà – la proposta di vincolo (sottoscritta anche dal Comune!) appare contraddittoria. Da una parte, inibisce la demolizione di qualsiasi edificio costruito prima del 1942 e prescrive puntigliosamente gli interventi di manutenzione straordinaria. Dall’altra afferma che il quartiere «rimane, nonostante tutto, zona altamente popolata, dove si è stratificata una condizione residenziale oramai di generazioni di cittadini, che hanno prodotto una loro cultura dell’abitare, un loro senso di identità». L’affermazione è di quelle che si approverebbero ad occhi chiusi. Ma, cosa vuol dire identità? Qual è il rischio che si corre a mettere insieme la conservazione (di questo si parla quando si parla di vincoli) e le manifestazioni identitarie?

Corriamo un rischio leghista e xenofobo. E la prova dell’imminenza del rischio è la presenza di Marco Romano oggi a Bari, nel teatro Petruzzelli, dove terrà una lectio magistralis sul tema “La città di Bari opera d’arte?”, per inaugurare il ciclo di manifestazioni per il bicentenario della fondazione del Murattiano. Se il Comune ha deciso di invitare Marco Romano ci sarà un motivo. E ci chiediamo quale peso avrà questo motivo nella strategia di rigenerazione urbana del quartiere Libertà, che è la zona di Bari con la maggiore presenza di immigrati. Romano, nel volumetto intitolato “La città come opera d’arte” (Einaudi) fa appello ai sindaci perché «ricorrano, per ripristinare la bellezza delle loro città, anche alle strade e alle piazze tematizzate di un tempo neppure lontano». Altrove spiega che, per esempio, una Venezia-Disneyland gli sta benissimo.
Ma il punto è: in quartieri come il Libertà, che ne facciamo dei giovani magrebini e delle ragazze gahnesi? Romano non ha dubbi: devono rinunciare alla loro identità. «Quanto poi all’integrazione – scrive – dei nuovi immigrati da fuori Europa, legati da clan intrecciati dal sangue o da tribù legate dalla fede, consisterà forse nel loro sciogliersi in una civitas dove da mille anni questi legami costituiscono una debole sfera privata, ma non hanno corso sociale».  Se non sarà così, «la partita sarà perduta e questa crescente ondata di nuovi arrivati farà delle nostre città il relitto di una civitas aperta, mobile e democratica, un’urbs assediata – come già succede – dalla galassia straniera delle comunità aliene asserragliate nei loro ghetti». Da una parte Omar, dall’altra Paperino.

Nel 2007 il fotoreporter Uliano Lucas ha percorso per settimane le strade del quartiere Libertà con la sua Leica: ha fotografato la bottega del sarto e il phonecenter dei senegalesi, il salone della parrucchiera nigeriana  e il soggiorno dell’insegnante. Della mostra-reportage “La città all’ovest”, nata da quella esperienza, scrive Lucia Miodini nella recente monografia Uliano Lucas (Bruno Mondadori ed., 2012): «Lucas restituisce il caos del quartiere: la sovrapposizione dei segnali stradali e dei manifesti pubblicitari; la disordinata mescolanza di strade e caseggiati. Più di ogni altra cosa dà dignità agli invisibili, accenna alle tante storie che quegli interni raccontano (…). Il lavoro fotografico sulla gestione della città si dimostra un importante contributo critico perché ci fa riflettere sulla vita e sull’abitare».

NICOLA SIGNORILE

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